Riccardo Bisti - 01 December 2018

Quel grande sogno svanito 20 anni fa. Per sempre

Nel dicembre 1998, l'Italia ha giocato la sua ultima finale di Coppa Davis. Le vittorie di Gaudenzi e company avevano esaltato l'opinione pubblica, anche se il match contro la Svezia fu accompagnato da forti polemiche tra i giocatori e la FIT di allora. La nostra rivista preparò uno storico fascicolo di 272 pagine, ma il sogno si infranse nel “clac” che mise KO la spalla di Andrea Gaudenzi.

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Dicembre è l'ultimo mese dell'anno, quello in cui finisce tutto. Il mese in cui si fanno i bilanci e si pensa al futuro. 20 anni fa esatti, rappresentò anche la fine di un sogno. Un'intera generazione di appassionati aveva la speranza di vestirsi di gloria tennistica, scrollandosi di dosso i racconti dei genitori che avevano vissuto il trionfo di Santiago del Cile, unica Coppa Davis mai vinta dall'Italia. Dopo i gioiosi anni 70, il nostro sport si era assestato su livelli decisamente inferiori, ostaggio di tanti errori che in questa sede non è il caso di rispolverare. Intorno alla metà degli anni 90, tuttavia, comparve un gruppo di ottimi giocatori. Andrea Gaudenzi e Renzo Furlan non erano forti come Panatta e Barazzutti, ma sapevano il fatto loro. Diego Nargiso non era magico come Paolo Bertolucci, ma il doppio era il suo pane quotidiano. E Davide Sanguinetti, soprattutto in quel 1998, dimostrò tutto il suo valore. Le semifinali del 1996 e del 1997 furono l'apripista a una stagione surreale e un po' fortunata. Con Furlan in crisi, l'Italia scoprì Davide Sanguinetti nel primo turno, a Genova contro l'India. Perse il match d'esordio contro Bhupathi, ma sulla terra gli indiani erano troppo scarsi. A una decina di fusi orari di distanza, a Mildura, i fratelli Black firmavano una delle più grandi sorprese nella storia della competizione e lo Zimbabwe batteva l'Australia a domicilio. Fu un bel favore per gli azzurri: nel cuore dell'estate, col Paese ancora un po' scosso dalla traversa di Di Biagio a Saint Denis, fecero a fettine gli africani al TC Prato. In semifinale c'erano gli Stati Uniti, in trasferta, e ancora una volta la buona sorte diede una mano agli azzurri di Paolo Bertolucci, che l'anno prima aveva rilevato una panchina vacante dopo le dimissioni di Adriano Panatta e il seguente terremoto politico, che mise fine alla presidenza di Paolo Galgani. A Milwaukee, i nostri avversari si chiamavano Todd Martin e Jean Michel Gambill. Onestamente, un insulto per la storia tennistica di un paese che in quel momento aveva Sampras e Agassi. Ma non era colpa degli azzurri, che in Ohio fecero il loro dovere. Gaudenzi OK, Sanguinetti super contro Todd Martin, poi il doppio vinse in cinque set e partirono i festeggiamenti. Italia di nuovo in finale, a 18 anni dai furti di Praga.

METEO E SUCCO DI FRUTTA
Tennis di nuovo nelle prime pagine dei giornali, non soltanto quelli sportivi. E finalmente una finale da giocare in casa, dopo sei trasferte. L'avversaria era una Svezia forte ma non irresistibile. Sembrava tutto apparecchiato per la gloria. Invece l'avvicinamento alla finale fu invelenito da una vivace polemica tra i giocatori e la FIT di allora. Come spiegò Andrea Gaudenzi nell'editoriale de “Il Tennis Italiano” di dicembre 1998, i giornalisti avevano chiesto ai giocatori se si sentissero prodotti federali e se avrebbero cambiato qualcosa nel settore organizzativo. Rispose per tutti il faentino, quello con maggiore personalità e dialettica. Disse senza mezzi termini che per diventare un professionista era fuggito in Austria (nonostante abbia lavorato al Centro FIT di Riano), e che il settore tecnico era stato incapace di produrre giocatori negli ultimi quindici anni. Adriano Panatta, che nel frattempo era rientrato nella FIT in altra veste, durante la breve presidenza di Francesco Ricci Bitti, rispose che i giocatori non avrebbero avuto troppo titolo per parlare, visti i lauti guadagni. “È come se chiedessi a qualcuno che tempo fa, e lui mi rispondesse che ha bevuto un succo di frutta. L'affermazione di Panatta non c'entrava niente con quello che avevo detto” scrisse Gaudenzi. A rendere ancora più teso il clima, i prezzi dei biglietti per la finale, programmata al Forum di Assago (che all'epoca era sponsorizzato da FILA) dal 4 al 6 dicembre 1998. L'abbonamento per tre giorni in piccionaia costava 200.000 lire, e si arrivava al mezzo milione per i posti migliori. Lamentele a non finire, alle quali Ricci Bitti rispose con un'uscita infelice. “Possono sempre guardarla in TV”. Mentre Paolo Bertolucci cercava di tenere i giocatori lontano dalle polemiche, spedendoli a giocare un torneo Challenger a Buenos Aires per riprendere confidenza con la terra battuta (superficie scelta dagli azzurri), il Paese era comunque elettrizzato. Si parlava di tennis nelle scuole, negli uffici, nei negozi.

IL ROVESCIO BIMANE DELLA VINCI
La pagina sull'emergente italiano, sempre a cura di Mangiante, parlava di un ventenne Daniele Bracciali, reduce dal terzo turno a Wimbledon e considerato il giovane più vicino al quartetto di Davis. La rubrica di coach Claudio Pistolesi esaltava la figura dei giovani allenatori italiani che avevano il coraggio di intraprendere l'attività internazionale. Tra loro, menzionava Roberto Brogin (che oggi lavora per Tennis Canada) e un giovanissimo Umberto Rianna (oggi responsabile degli Over 18 per conto della FIT), oltre a ricordare il proprio ruolo nella crescita del tennis giapponese. Scriveva per nostra rivista anche Graziano Risi, poi divenuto fedelissimo dirigente di Binaghi con delega al Settore Tecnico. Nella sua rubrica, Risi esaltava Uros Vico: pur senza sbilanciarsi sul suo futuro, ne decantava le lodi raccontando un divertente aneddoto di un match junior tra lo stesso Vico e l'ex baby fenomeno José De Armas, vinto dall'azzurro nonostante il comportamento poco corretto dei venezuelani. Già 20 anni fa non mancavano le discussioni sulla Serie A1, vinta dal TC Matchball di Firenze tra le polemiche: il TC Palladio di Vicenza (che aveva speso mezzo miliardo per tesserare i più forti italiani) mandò in campo i ragazzini per protestare con la FIT per la decisione di far giocare il match nel veronese e non a Vicenza, perché la richiesta era arrivata “fuori tempo massimo”. Fu il ritorno di una manifestazione che era stata messa in naftalina nove anni prima e che si trascina ancora oggi, con regole insensate che l'hanno resa priva di significato e interesse. Sfogliando il giornale, viene un groppo in gola. C'è una foto a doppia pagina di una giovanissima Roberta Vinci, con cappellino e bandana... intenta a giocare un rovescio a due mani! Chi l'ha conosciuta per la sua rasoiata in slice rimarrebbe di sasso nel vedere come portava il colpo da ragazzina. Un paio di mesi prima, aveva vinto la Youth Cup (antesignana della Junior Fed Cup) con altre due baby promesse: Flavia Pennetta e Maria Elena Camerin.

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