Riccardo Bisti - 27 October 2018

Sampras e la crudeltà della memoria

Pete Sampras è stato inserito in una lista degli atleti più “noiosi” di sempre. Una valutazione ingenerosa, crudele, contro un campione che aveva un tennis fantastico e ha mostrato doti morali e agonistiche fuori dal comune. Ecco perché le argomentazioni di Deadspin non sono condivisibili... e i motivi per rivalutarlo.

Un paio di uscite, più ingenue che infelici, hanno contribuito a una percezione scorretta - se non distorta - della carriera di Pete Sampras. Deadspin è un sito americano molto seguito e ha una rubrica dedicata al dialogo con i lettori. Se ne occupa Drew Magary, giornalista di un certo livello. Per intenderci, ha scritto per testate importanti come GQ, Maxim, Rolling Stone, ESPN, Yahoo, Comedy Central e altre. Un lettore gli ha chiesto di individuare gli atleti più noiosi di tutti i tempi. La domanda era specifica: non si riferiva alla personalità ma allo stile di gioco. “Atleti senza stile o che rendono le partite noiose da vedere, ma brutalmente efficaci”. Magary ne ha individuati diciannove: il secondo a venirgli in mente (dopo il cestista Patrick Ewing) è stato proprio Pete Sampras. Diciamo che Pistol Pete non era un personaggio troppo brillante, proprio in virtù di alcune uscite così così. La leggenda sostiene che una volta disse a DeLaina Mulcahy, sua fidanzata nei primi anni di carriera: “Non farmi più una cosa del genere!” dopo che lo aveva portato a fare una visita a Louvre. È passata alla storia una sua frase in una conferenza stampa a Francoforte, durante un'edizione delle ATP Finals (che peraltro vinceva spesso): ammise candidamente di non conoscere Johann Wolfgang von Goethe. Raramente diceva cose interessanti, sostenendo che preferiva “lasciar parlare la racchetta”. Però – soprattutto in virtù della tipologia della domanda – è crudele considerarlo “noioso”. Ma quali sono le argomentazioni di Magary? “Tutti si sono lamentati del dominio meccanico di Pete Sampras quando collezionava titoli. E indovina? Tutto avevano ragione. Non c'è una storia di revisione per Pete Sampras. Non c'è modo di voltarsi indietro e apprezzare il suo massacro di serve and volley. Torniamo a quando si poteva vedere un suo match contro Goran Ivanisevic e nessuno tirava un dritto per un'ora intera. No, grazie”. L'affermazione è tanto superficiale quando condizionata da pregiudizi. E allora, perché non inserire in questa graduatoria Andy Roddick, il cui tennis era decisamente più “noioso”? Forse perché era brillante nelle conferenze stampa e sapeva gestire le pubbliche relazioni?

QUELLE VITTORIE EPICHE
Sampras era tanto noioso fuori dal campo quanto entusiasmante quando impugnava la sua Pro Staff da quasi quattro etti. E aveva doti morali importanti, nascoste da quell'aria un po' naif e lo sguardo perso nel vuoto. Ci sono episodi che lo dimostrano. È stata forse noiosa la finale di Coppa Davis 1995? Quell'anno, lui e il suo rivale Andre Agassi fecero un patto d'acciaio: avrebbero cercato di vincere l'Insalatiera. Agassi si fece male prima della finale a Mosca, ma Pete non venne meno all'impegno. Giocò una partita straordinaria contro Andrei Chesnokov, su un campo ridotto a pantano, laddove due mesi prima ci aveva rimesso le penne Michael Stich. Vinse in cinque set, privo di energie. Lo portarono fuori a braccia, senza neanche la stretta di mano all'avversario. D'altra parte, Pete ha convissuto per tutta la carriera con una forma di anemia che non lo ha certo aiutato. Ma quel weekend decise di dare tutto. Tornò in campo il giorno dopo, in doppio con Todd Martin, e vinse. Vinse anche alla domenica, contro Kafelnikov, regalando agli Stati Uniti una delle Davis più belle della storia. Molti giocatori di oggi, dal ritiro e dalla scusa facile, avrebbero fatto i capricci per il solo forfait del proprio compagno di squadra. Lui non fece una piega e fu epico. Purtroppo per lui, dieci anni prima avevano girato Rocky IV. Al ritorno in patria, nella finzione cinematografica, il pugile impersonato da Sylvester Stallone fu accolto con tutti gli onori. Sampras aveva trasportato nella realtà l'impresa del “buono” americano a casa del “cattivo” russo (non più sovietico) e sperava che il successo avrebbe avuto più risonanza. Invece arrivò negli States e nessuno lo considerò, come se non fosse successo nulla. Ci rimase talmente male da mettere in un angolo la Davis per il resto della carriera. Pete Sampras era un essere umano, non si nascondeva. Come allo Us Open 1996, quarti di finale, contro Alex Corretja. Non stava bene, e il vomito nel corso del match ce lo raccontò con crudeltà. Nonostante abbia rigettato le ultime tre cene sul Decoturf, si buttava a rete su ogni palla e la spuntò 7-6 al quinto, con tanto di matchpoint annullato. Quel vomito, tanto sgradevole alla vista, fu simbolo di epicità: nonostante una reazione fisica che non poteva in nessun modo controllare, riuscì a restare in campo e vincere la partita. Già che c'era, vinse il torneo. Noia? No, emozioni pure.

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