Riccardo Bisti - 26 August 2017

Lo hanno piegato, ma Stebe non si è spezzato

A quasi cinque anni dall'ultima volta, Cedrik Marcel Stebe conquista un posto nel main draw di uno Slam. A inizio anno era n.471 e giocava i Futures, adesso sembra tornato quello di cinque anni fa. Nel momento più bello della sua carriera è rimasto fermo per un anno e mezzo a causa di un'incredibile serie di infortuni.

Nove anni fa, su questi stessi campi, vinse il doppio nella prova giovanile “Una sensazione indimenticabile”. Per uno strano scherzo del destino, Cedrik Marcel Stebe torna a essere un tennista vero a Flushing Meadows. Battendo al turno decisivo Alejandro Gonzalez, ritrova il tabellone principale di uno Slam dopo quasi cinque anni (l'ultima apparizione risale all'Australian Open 2013). Un bel traguardo, reso ancora più emozionante da un passato colmo di incertezze. Perché il tedesco, 27 anni a ottobre, a un certo punto ha temuto di non poter più giocare. Una lunga, infinita serie di infortuni lo ha tenuto ai margini per quasi tre anni. “Cosa ho fatto per meritarmi tutto questo?” diceva tra sé e sé, mentre passava da un calvario all'altro. Intervento all'anca, problemi alla parte bassa della schiena, infiammazione all'osso del pube, poi sfociata in una frattura da stress. Nonostante tutto, non ha mai voluto spegnere la fiammella della speranza. E lo Us Open 2017, a quattro anni dall'ultima volta, è il luogo migliore per assaporare la nostalgia e trasformarla in presente, con la prospettiva di un futuro importante. Nel 2012 è stato numero 71 ATP, giocava in Davis per la Germania, gli pronosticavano un futuro da top-30 fisso. “Oggi gioco in modo molto diverso rispetto ad allora – racconta – il gioco si sviluppa in continuazione. Ho provato a essere più aggressivo, finalmente mi ci sono abituato. Oggi ci sono tanti giovani che tirano forte e hanno un gran servizio. Bisogna di adattarsi”.

UN LUNGO CALVARIO
Soltanto dodici mesi fa, Cedrik Marcel provava a qualificarsi per un torneo Challenger in Olanda. E sei mesi fa giocava un Futures a Sondrio. Chi lo ha visto giocare in quei giorni (avrebbe perso in semifinale contro Salvatore Caruso) avrebbe giurato che il suo treno fosse ormai lontano, senza più chance di ripassare. E invece ha rimesso piede nel circuito ATP, a Monaco di Baviera, Ginevra e Amburgo (sullo stesso campo dove cinque anni fa fu eroe nella vittoria in Coppa Davis contro l'Australia). La scorsa settimana ha vinto il ricco Challenger di Vancouver, sullo slancio ha vinto altre tre partite a New York. Il ritorno tra i top-100 è ormai cosa fatta. Gli ultimi cinque anni della sua vita sono lì, a ricordargli che non bisogna mai dare niente per scontato. In fondo, il primo intervento chirurgico (quello all'anca) è arrivato mentre stava giocando il miglior tennis della sua vita. Risultato? Dovendo camminare con le stampelle, ha danneggiato la schiena perché scaricava troppo peso su un lato del corpo. Ma aveva troppa fretta di tornare nel tour, così ha ripreso ad allenarsi. E così il dolore è tornato, ma stavolta era un'infiammazione sopra al bacino, che perdurava da 10 mesi. Hanno dovuto inserire una piccola rete per stabilizzare l'intestino e impedire che si creasse tensione tra i muscoli e l'osso pubico. Il peggio sembrava alle spalle, ma un'ulteriore risonanza magnetica ha evidenziato una frattura da stress dall'altra parte del bacino. Una sfortuna atroce. “È stata una battaglia mentale, non sempre sono riuscito a rimanere positivo. Ogni volta che sembravo pronto, succedeva qualcosa di negativo”. Il ritorno c'è stato, ma aveva perso l'abitudine a competere. D'altra parte, è rimasto un anno e mezzo senza giocare neanche una partita ufficiale.

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