
Carreno Busta era arrivato in semifinale senza cedere un set, vincendone quindici di fila, e ha fatto sedici con un break sul 3-3, quando Anderson ha pasticciato con un doppio fallo e tre gratuiti. Ma il gigante di Johannesburg, da anni trapiantato a quattro passi da Delray Beach (Florida), è emerso piano piano, mettendo per la prima volta il naso avanti a metà secondo set. È scappato sul 3-1, si è fatto riprendere immediatamente incassando tre passanti, ma quel game gli è servito da lezione. Ha deciso di metterci un pizzico di pazienza in più, e quando il numero dei vincenti ha superato quello degli errori il match ha cambiato faccia. Un doppio fallo di Carreno Busta nel dodicesimo game gli ha offerto un set-point, lui è andato all-in provando a spaccare la pallina e con un rovescio supersonico ha pareggiato i conti, superando definitivamente incertezze e paure. Ha alzato il livello incitandosi a suon di “come on”, ha ricevuto sempre più aiuto dal servizio, e fra terzo e quarto set ha finito per lasciare appena nove punti in dieci turni di battuta, obbligando Carreno Busta a reggere un pressing insostenibile. Punto dopo punto l’ha spedito a giocare sempre più lontano, ha preso il totale controllo del match e nel finale non ha tremato. Si è dimenticato che vincendo quel game avrebbe conquistato la finale allo Us Open, e ha giocato da campione quando il rivale ha provato in tutti i modi a fargli venire dei dubbi. Prima l’ha costretto ad andare a servire per il match, accorciando sul 4-5 dopo il game più lungo del confronto, e nel primo punto del decimo gioco ha vinto un braccio di ferro da 38 colpi, terreno inesplorato nelle quasi tre ore precedenti. Ma Anderson è rimasto lì, ha risposto colpo su colpo, si è preso il match-point con un delicatissimo smash da fondocampo e qualche secondo dopo era al centro del campo col sorriso e le mani nei capelli, a guardarsi intorno per cercare di realizzare ciò che aveva appena combinato.

Subito dopo, ancora prima di arrampicarsi nel suo box da coach Neville Godwin e dalla moglie Kelsey, Kevin è andato a bordo campo ad abbracciare il fratello minore Greg, di 18 mesi più giovane e avversario di mille battaglie al muro di casa, fatto costruire appositamente da papà Mike. Anche Greg puntava a diventare un professionista, ma ha dovuto mollare prestissimo a causa di ripetuti problemi fisici, affidando al fratello il compito di avverare anche i suoi sogni. Oggi dirige un’accademia nel Connecticut, ma allo Us Open non manca mai, e in mezzo ai 23.000 dell’Arthur Ashe era il più felice, come già nel 2015 sul vecchio Louis Armstrong, quando Kevin era finalmente riuscito a cancellare il record negativo di ottavi Slam giocati (sette) senza mai superarli. Stava diventando una maledizione, ma due anni fa sparò 81 colpi vincenti in faccia a Andy Murray e si regalò il primo quarto, con conseguente ingresso nella Top-10. Un punto d’arrivo che poteva trasformarsi in un punto di partenza, se solo non fosse arrivata una lunga serie di guai fisici che hanno rovinato i piani del 31enne sudafricano. Nulla di grave, ma tanti piccoli problemi che messi insieme ne hanno frenato ambizioni e classifica, facendolo sprofondare addirittura al numero 80 del ranking ATP. Nel 2016 si è fermato tre mesi per curare una spalla dolorante, approfittandone per un’operazione alla caviglia studiata perché potesse allungargli la carriera, mentre sul finire della passata stagione ha iniziato a litigare con l’anca, perdendo il primo mese e mezzo di 2017. Rientrato a febbraio, ha faticato a ingranare fino a Parigi, poi è finalmente tornato a farsi vedere. Ottavi a Roland Garros e Wimbledon, finale a Washington, quarti a Montreal e un treno preso al volo a New York, che arriverà a destinazione domenica alle 22 italiane, con a bordo lui e Rafael Nadal. Uno dovrà scendere per forza, mentre l’altro potrà rimanerci comodo, a festeggiare il titolo dello Us Open.
US OPEN 2017 – Semifinale Uomini
Kevin Anderson (RSA) b. Pablo Carreno Busta (ESP) 4-6 7-5 6-3 6-4
