di Gabriele RivaE’ stato un Super Saturday senza storia
di Gabriele Riva

E’ stato un Super Saturday senza storia. Non ne hanno avuta le due semifinali che hanno introdotto il gran galà femminile. Che, pure questo, di storia non ne ha avuta un granello. E allora partiamo proprio da qui, da Justine Henin che battendo (o meglio, passando sopra a) Svetlana Kuznetsova (6-1 6-3 lo score finale) ha incamerato il secondo Us Open della sua carriera dopo quello del 2003. Un’ora e ventidue soltanto di finale, il tempo di chiarire ancora una volta che la più forte è lei. Affermazione che questa volta ha chiuso col punto esclamativo, non tanto per la superiorità sciorinata in finale ma per il fatto di aver battuto, una via l’altra, le Williams Sisters (nei quarti Serena, in semifinale Venus), quelle che fanno pensare a molti che non sia la belga la più forte del globo. A proposito, negli Slam nessuno era riuscito nell’impresa di battere le due sorellone nello stesso tabellone. E’ così che Justine si è andata a riprendere quel titolo sfuggito dalle mani nel 2006, quando Maria Sharapova, nel suo scintillante abito da sera si prese le luci della ribalta. La finale 2007 è stata una formalità.

Le Williams, la Sharapova, tre pesi massimi, insomma, ma a spuntarla è ancora una volta lei, lei che invece è 5 piedi e 6 pollici, per dirla come piace tanto agli americani, un metro e 67 cm, lei è sul gradino più alto del mondo, e questa vittoria legittima anche l’opinione del computer, più che raramente ingannevole. “Non erano in molti quelli che pensavano che potessi farcela a vincere questo Us Open – ha detto la belga a fine match – per la verità l’unico che ci credeva fino in fondo era Carlos (Rodriguez, il suo coach, n.d.r.) eppure anche con il tabellone molto insidioso che ho avuto ce l’ho fatta. Sono davvero molto fiera di me”. E quando si vince uno Slam senza perdere un solo set, c’è di che essere fieri.

Quel “you can do it” che Justine ha attribuito a Rodriguez, il quale ogni giorno la spronava con quattro semplici parole, deve aver funzionato più che bene. Anche perché quella psicologica è l’unica insidia che può portare la belga alla figuraccia (ricordate Wimbledon e la “semi” con la bella-di-papà Bartoli?), perché sul tennis giocato non ci sono dubbi, nessuno ha mai avuto la spudoratezza di averne in cuor proprio, figuriamoci di esprimerli. Del match contro Svetlana Kuznetsova non c’è molto da dire: via e 3-0, primo set andato. 3-1 nel secondo, set e match incanalati. Poi la scalata sulle tribune, che a New York sono più insidiose del Grignone, per dare il primo abbraccio a coach Carlos, l’unica persona con cui ha mantenuto un rapporto vero, per la verità l’unica persona con cui ha mantenuto un rapporto. Ma questa è un’altra storia e a noi non deve interessare più di tanto, a noi interessa il campo, interessano i sette titoli dello Slam in bacheca (con cui supera quelli di Venus Williams e con cui mette nel mirino pure Serena, 8) e che sommati agli altri non-major fanno 35 in totale. “E chissà cosa può succedere nei prossimi anni? – ha riflettuto davanti a un microfono Justine – Quando ero piccola sognavo di vincere un solo titolo e ne ho vinti 7… Staremo a vedere”.

Poca storia anche per le due semifinali maschili. Non c’è bisogno di creare suspance con la penna. Dopo Wimbledon, e soprattutto dopo il Masters-Series di Montreal, la finale di questi Us Open doveva essere, e sarà, tra Novak Djokovic e Roger Federer
. Come dire che l’assassino è il maggiordomo, uguale. Riflessione questa che ne farebbe sibilare un’altra: non è che questo tennis sia diventato un po’ troppo prevedibile? Rafa-Rogi ovunque con l’alternativa Nole su cemento ed erba, poco altro. Provocazione eh, nessuna smania di trombonata giornalistica. Già, torniamo al campo che è meglio. Tre-set-a-zero a Ferrer per “Djoko” (6-4 6-4 6-3), tre-set-a-zero a Davydenko per Ruggero (7-5 6-1 7-5). Stasera comunque, al grande ballo (ore 22.30 in diretta su Eurosport) ci sarà di che divertirsi…