E’ quello che stiamo vedendo alle Olimpiadi. Meno fronzoli, più cattiveria e un doppio 7-5 che rimanda a casa Djokovic. In finale trova Federer, rivincita della finale di Wimbledon.
Stavolta Djokovic ha lasciato strada a Murray
Di Riccardo Bisti – 4 agosto 2012
One day you can have no fear
He’ll be King of the Centre Court bathed in cheers
Sono le parole, fino ad oggi per nulla profetiche, della canzone “Volley Highway”, inno dedicato ad Andy Murray. Chi ha scritto il testo pensava a Wimbledon, ma sarebbe ugualmente contento di una vittoria olimpica contro Roger Federer, sullo stesso Centre Court. Tra lo scozzese e il sogno a cinque cerchi c’è soltanto lo svizzero. Nella seconda semifinale, terminata sull’orlo della sospensione per oscurità (avrebbero dovuto mandare i giocatori negli spogliatoi per chiudere il tetto e accendere le luci), Murray ha preso tutta la carica positiva dai 14.000 del Centre Court e ha battuto 7-5 7-5 Novak Djokovic, travolto da un ambiente carico e ostile. Si sono viste le solite botte da fondocampo, pregevoli ma monotone. Murray ha più armi nel suo bagaglio tecnico e le ha fatte valere al momento opportuno. Da anni, lo scozzese sta rincorrendo i migliori ma non riesce ad abbatterli nei grandi tornei. Una vittoria in semifinale su Djokovic è un buon viatico per il salto di qualità. Il fosso sarebbe decisamente superato in caso di medaglia d'oro. Per Djokovic è una sconfitta molto dura. Era avanti 8-5 negli scontri diretti, ma le sfide veramente importanti le aveva vinte tutte. Ma questo Murray, fasciato nel completo blu griffato “Great Britain”, è un tennista diverso. Serve come un treno, bastona con il dritto e punge con il rovescio slice, anche se lo usa sempre meno. Si è reso conto che deve fare come il Djokovic del 2011: grande condizione fisica e 2-3 armi, ma usate al 100%.
Nel primo game ha sparato due ace, giusto per presentarsi. Djokovic non è stato da meno. Nel primo set c’è stata grande intensità. I due hanno giocato alla grande, coprendo ogni centimetro del campo mostrando una condizione fisica strepitosa. Sul 6-5, un paio di rovesci in slice hanno messo in difficoltà Djokovic ed hanno regalato allo scozzese il break decisivo, sigillato da un passante incrociato. Il secondo set è stato la fotocopia del secondo, anche se Djokovic ha avuto qualche chance in più. Dopo aver perso il punto più bello della partita nel secondo game (spettacolare pallonetto di controbalzo di Murray), ha avuto palle break sull’1-1, sul 3-3 e sul 5-5. Nell’ultima si è proiettato a rete, ma è stato infilato ancora una volta. A quel punto si è arreso. Sapeva che avrebbe perso. Nell’ultimo game ha ceduto mentalmente, perdendo il servizio a zero e consegnandosi alla sconfitta con un improbabile serve and volley, ridicolizzato dall’ennesima gran risposta. Murray era commosso, ma era una commozione diversa rispetto a quella di 26 giorni fa, quando pianse dopo la sconfitta con Federer. Il suo atteggiamento è diverso, più consapevole, cattivo. Fa paura. E’ riuscito nell’impresa più difficile: metabolizzare la sconfitta di Wimbledon nel modo giusto. Non è andato in depressione come gli è accaduto in passato, ma ha trovato altre energie. E Federer dovrà stare attento nella finale di domenica, unico match olimpico al meglio dei cinque set. Questo Murray può batterlo.
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