Schwieberdingen è una piccola città tedesca, venti chilometri a nord-ovest da Stoccarda. Non ha nulla di attraente. Qualche anno fa, Daniele Bracciali non avrebbe mai immaginato che gli sarebbe sembrata bellissima, il luogo ideale per festeggiare il 40esimo compleanno. Ci sarà tanta simbologia nel match che oggi “Braccio” giocherà, insieme ad Alessandro Motti, contro i francesi Albano Olivetti e Dan Added. Nel giorno in cui compie 40 anni, l'aretino torna ad essere un tennista come tutti gli altri, dopo che per tre anni gliel'hanno impedito. Prima le intercettazioni, poi la gogna mediatica e infine un processo multiplo, prima sportivo e poi ordinario, lo hanno fatto diventare una specie di reietto. Era tutto finto, una clamorosa invenzione. “Il fatto non sussiste”, ha detto forte e chiaro il giudice Francesco Beraglia, chiamato a pronunciarsi sulle accuse formulate dal PM Roberto Di Martino, che dopo il pensionamento è stato sostituito dalla giovane Carlotta Bernardini. “Il fatto” era la teoria dell'impianto accusatorio: associazione a delinquere finalizzata alla frode sportiva. Negli ultimi tre anni, vi abbiamo raccontato ogni dettaglio di questa storia, anche il più viscido: in sintesi, qualche anno fa Bracciali era entrato in contatto con un commercialista di Bologna, Manlio Bruni, sperando che potesse dargli una mano per recuperare un credito di 100.000 euro con il Geovillage di Olbia, club sardo per il quale aveva giocato in Serie A1. Ma c'era un inghippo: Bruni aveva una viva passione per le scommesse. Da lì, qualche chat di troppo (come quelle durante il torneo di Newport 2007) che secondo l'accusa si sarebbe trasformata, appunto, in un'associazione a delinquere. In due parole, un clan di scommettitori (di cui avrebbe fatto parte anche il DS del Perugia Roberto Goretti, pure lui assolto) avrebbe “reclutato” Bracciali (e, di conseguenza, Potito Starace) per convincere una serie di giocatori a vendersi le partite in cambio di denaro. Tale teoria è rimasta nelle fantasie, sia sul piano delle prove, che delle testimonianze, che degli indizi. Buona parte dell'impianto accusatorio era basato su testimonianze e intercettazioni: l'attendibilità di quest'ultime è stata sostanzialmente disintegrata dalla perizia del generale Umberto Rapetto, mentre non è stato trovato uno straccio di passaggio di denaro “sospetto” che potesse alimentare sospetti. Eppure, sulla base delle intercettazioni, sia Bracciali che Potito Starace sono stati devastati dall'opinione pubblica. Sia l'aretino che il campano hanno le spalle larghe, ma in certi casi la gogna del web è stata pesantissima.