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Riccardo Bisti
10 January 2018

Tre anni spazzati via: “Il fatto non sussiste”

Assoluzione piena per Daniele Bracciali e Potito Starace nell'infinita querelle sui presunti match-truccati. L'impianto accusatorio si è sgretolato di fronte alla totale assenza di prove e all'inconsistenza degli indizi. Nessuno, tuttavia, potrà restituire ai due giocatori un inferno di tre anni. Oggi 40enne, “Braccio” riparte da un Futures.

Schwieberdingen è una piccola città tedesca, venti chilometri a nord-ovest da Stoccarda. Non ha nulla di attraente. Qualche anno fa, Daniele Bracciali non avrebbe mai immaginato che gli sarebbe sembrata bellissima, il luogo ideale per festeggiare il 40esimo compleanno. Ci sarà tanta simbologia nel match che oggi “Braccio” giocherà, insieme ad Alessandro Motti, contro i francesi Albano Olivetti e Dan Added. Nel giorno in cui compie 40 anni, l'aretino torna ad essere un tennista come tutti gli altri, dopo che per tre anni gliel'hanno impedito. Prima le intercettazioni, poi la gogna mediatica e infine un processo multiplo, prima sportivo e poi ordinario, lo hanno fatto diventare una specie di reietto. Era tutto finto, una clamorosa invenzione. “Il fatto non sussiste”, ha detto forte e chiaro il giudice Francesco Beraglia, chiamato a pronunciarsi sulle accuse formulate dal PM Roberto Di Martino, che dopo il pensionamento è stato sostituito dalla giovane Carlotta Bernardini. “Il fatto” era la teoria dell'impianto accusatorio: associazione a delinquere finalizzata alla frode sportiva. Negli ultimi tre anni, vi abbiamo raccontato ogni dettaglio di questa storia, anche il più viscido: in sintesi, qualche anno fa Bracciali era entrato in contatto con un commercialista di Bologna, Manlio Bruni, sperando che potesse dargli una mano per recuperare un credito di 100.000 euro con il Geovillage di Olbia, club sardo per il quale aveva giocato in Serie A1. Ma c'era un inghippo: Bruni aveva una viva passione per le scommesse. Da lì, qualche chat di troppo (come quelle durante il torneo di Newport 2007) che secondo l'accusa si sarebbe trasformata, appunto, in un'associazione a delinquere. In due parole, un clan di scommettitori (di cui avrebbe fatto parte anche il DS del Perugia Roberto Goretti, pure lui assolto) avrebbe “reclutato” Bracciali (e, di conseguenza, Potito Starace) per convincere una serie di giocatori a vendersi le partite in cambio di denaro. Tale teoria è rimasta nelle fantasie, sia sul piano delle prove, che delle testimonianze, che degli indizi. Buona parte dell'impianto accusatorio era basato su testimonianze e intercettazioni: l'attendibilità di quest'ultime è stata sostanzialmente disintegrata dalla perizia del generale Umberto Rapetto, mentre non è stato trovato uno straccio di passaggio di denaro “sospetto” che potesse alimentare sospetti. Eppure, sulla base delle intercettazioni, sia Bracciali che Potito Starace sono stati devastati dall'opinione pubblica. Sia l'aretino che il campano hanno le spalle larghe, ma in certi casi la gogna del web è stata pesantissima.

ACCUSE SVANITE NEL NULLA
I due hanno percorso strade diverse: Starace ha scelto una via più riservata, lasciando la parola ai suoi avvocati (i torinesi Chiappero e Maina), mentre Bracciali ha vissuto con grande trepidazione l'evolversi della faccenda, senza perdersi neanche un'udienza delle tante che si sono svolte dal 2015 a oggi, nelle sedi più disparate. Durante alcune udienze del processo sportivo (le due tornate presso la Corte di Appello) sembrava un leone in gabbia, avrebbe voluto replicare a quanto veniva detto dai procuratori. Al di là del merito, Bracciali è piaciuto per la sua voglia di trasparenza. Non si è mai sottratto alle domande, nemmeno le più scomode, e anzi ha più volte auspicato “la diretta TV” per le udienze. “Quando è uscita la sentenza mi trovavo in macchina verso l'aeroporto, per andare in Germania a giocare questo Futures – racconta Bracciali – a Cremona c'erano un avvocato dello studio di Filippo Cocco (Alberto Amadio era l'altro suo avvocato, ndr) e un mio amico di Arezzo. I giudici hanno chiesto alle parti se avevano qualcosa da aggiungere, poi c'è stata una breve camera di consiglio. Quando sono rientrati, il mio amico mi ha messo in vivavoce e ho potuto ascoltare la lettura del dispositivo. Avevo i battiti a cinquemila e non ho capito molto, ma quando mi hanno confermato l'assoluzione con formula piena è scattata la gioia incontenibile. In merito a chi si è costituito parte civile, il mio avvocato ha detto ai giudici che esiste un codice che condanna al risarcimento un certo tipo di condotta”. In effetti, erano entrati nel processo la Tennis Integrity Unit come parte lesa, nonché ITF, CONI e FIT nel ruolo di parti civili. La federazione internazionale, addirittura, aveva chiesto un risarcimento di un milione di euro (con provvisionale di 100.000). Puff, tutto finito, tutto svanito nel nulla. “Non ho più la forza per tornare a giocare, ormai ho 36 anni e lavoro in un'accademia – ha detto Potito Starace – ma adesso posso finalmente proclamare la mia innocenza dopo aver letto cose allucinanti sul sottoscritto e aver scelto di tenere un basso profilo in questi tre anni”. Con tanto di umiliazioni: l'anno scorso, l'ATP non voleva nemmeno farlo entrare al Foro Italico durante gli Internazionali BNL d'Italia. Anche Bracciali è un po' seccato con il suo sindacato: è stato sospeso in attesa di sentenza, senza essere mai processato dalla TIU nonostante lo abbia ripetutamente chiesto. Ma dopo aver incassato l'assoluzione della Giustizia Sportiva (per la verità, si è preso un anno di sospensione e 20.000 dollari di multa per aver violato l'Articolo 1 del Regolamento di Giustizia: in due parole, è stato punito per il solo fatto di aver parlato con Manlio Bruni. “Lo chiamavo spesso, ma chi non lo farebbe se ha la speranza di recuperare 100.000 euro? Non so per voi, ma per me sono una montagna di soldi” dice l'aretino), adesso è totalmente ristabilito.

TRE ANNI D'INFERNO
Va detto che il PM Carlotta Bernardini ha annunciato ricorso, ma è difficile che possano esserci ulteriori colpi di scena, anche perché si va rapidamente verso la prescrizione, che sopraggiungerà il prossimo ottobre. E il giudice avrà 90 giorni di tempo per depositare le motivazioni della sentenza. Sia chiaro: le accuse erano gravi: se provate, le sanzioni richieste erano congrue (radiazione sportiva, come si era avventurato a sentenziare il Tribunale Federale, mentre in ambito penale erano stati chiesti 2 anni e 8 mesi a Bracciali, 2 anni e 6 mesi a Starace e 3 anni a Goretti). Il problema è che l'orizzonte delle prove, così come quello degli indizi, era talmente nullo da portare all'insussistenza del fatto. Resta il dubbio sulle modalità con cui è stata intrapresa l'attività investigativa, ma questa è un'altra storia. La verità – ed è giusto ribadirlo – che non esiste uno straccio di prova e/o indizio che una sola delle partite sospette sia stata combinata, e che i protagonisti abbiano incassato del denaro. A ben vedere, la prima parte del processo era stata fortemente condizionata dalle dichiarazioni rese da alcuni personaggi coinvolti, tra cui Manlio Bruni. Non sappiamo il modo in cui siano stati condotti certi interrogatori, ma è certo che il Bruni – in sede processuale – abbia clamorosamente ridimensionato la portata delle sue affermazioni. In una delle tante intercettazioni, in effetti, era comparsa la parola “cazzaro” legata alla sua figura. E chiunque sa cosa significhi questo termine nel gergo comune. Resta la gogna mediatica e tre anni d'inferno per due ragazzi che hanno dato molto al nostro tennis. “Nessuno potrà restituirceli” hanno detto più o meno all'unisono, anche se Bracciali ha riattivato il ranking protetto e potrà giocare una dozzina di tornei nel tentativo di togliersi le ultime soddisfazioni sul campo da tennis. Partendo dal presupposto della fiducia nella Giustizia, e dunque che il fatto non sussiste, in questa faccenda hanno fatto una figuraccia in molti. Come spesso accade, la sentenza di assoluzione non avrà la stessa risonanza di quando esplose il caso, nell'ottobre 2014. Va sempre così. Pazienza.

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