Privilegi ai vaccinati: così ATP e WTA incoraggiano il sì

Il tennis è diviso sul vaccino contro il Covid-19: ATP e WTA raccomandano ai giocatori di immunizzarsi, ma alcuni non ne vogliono sapere. Tuttavia, già a Monte Carlo dovrebbero arrivare i primi vantaggi per i tennisti vaccinati. Una situazione (come altre future) destinata a mettere sempre maggiore pressione alla frangia di chi dice no

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Era scontato che prima o poi anche nell’universo tennis si sarebbe iniziato a parlare insistentemente di vaccini. Le ultime opinioni dei giocatori, raccolte durante le conferenze stampa del Miami Open, hanno mostrato un quadro della situazione tutt’altro che omogeneo. C’è chi si è già vaccinato come Simona Halep, fra i testimonial della campagna del Ministero della Salute rumeno, chi dice di non aver problemi a ricevere la dose e chi invece nutre qualche dubbio, o semplicemente – tipo Andrey Rublev, per citarne uno – sta bene così e non vede la necessità di vaccinarsi. Tuttavia, la questione vaccini potrebbe presto varcare i confini della semplice volontà personale, specialmente in uno sport che richiede ripetuti spostamenti fra nazioni e anche continenti, che si traducono in voli aerei, trasporti vari, cambi di hotel e centinaia di contatti nuovi di settimana in settimana. Pertanto, l’idea che prima o poi essere vaccinati contro il Covid-19 possa diventare una condizione necessaria per partecipare ai tornei (o per poterlo fare senza le varie limitazioni in atto in questo momento) non sembra così strampalata.

Per fare chiarezza di fronte a qualche dichiarazione un po’ fuori luogo, come quelle di Aryna Sabalenka che sostanzialmente ha detto di non credere nei vaccini, ATP e WTA hanno rilasciato due note nelle quali spiegano di raccomandare il vaccino e di incoraggiare i giocatori a immunizzarsi. Pur senza, naturalmente, avere la possibilità di obbligare nessuno. “Il vaccino – dice il comunicato della WTA – ci aiuterebbe a proteggere sia chi l’ha ricevuto sia chi no, e questo ci darebbe la possibilità di tornare a quella sorta di normalità invocata da tutti. Insieme ai nostri consulenti medici continueremo a educare le giocatrici sui benefici di questa vaccinazione”. Sulla stessa lunghezza d’onda l’ATP, dal cui comunicato emerge l’intenzione di predisporre un piano di vaccinazioni direttamente ai tornei, a favore di giocatori e staff. “Raccomandiamo il vaccino basandoci su delle evidenze scientifiche – si legge nella nota dell’ATP – e stiamo valutando diverse strategie per farci trovare pronti quando i vaccini saranno distribuiti in tutto il mondo”.

Il progetto dell’ATP ha il suo significato: di recente è avvenuto lo stesso per il Motomondiale in Qatar, dove il Governo locale e la Dorna (proprietaria del Campionato) hanno messo le due dosi di vaccino a disposizione di tutti i membri del carrozzone che ha fatto tappa a Losail, per i test e le prime due gare della stagione. Anche il Bahrain ha formulato la stessa proposta alla Formula 1, come parte di una campagna vaccinale che nel paese prevede anche la copertura degli eventi in programma sul suolo nazionale, ma la FIA ha declinato la proposta, pur lasciando la possibilità ai membri dei team e del suo stesso staff di approfittare dell’opportunità, colta da molti. Negli Stati Uniti, invece, sia la NBA sia la MLB (baseball) hanno incoraggiato i loro stessi atleti a vaccinarsi, offrendo in cambio dei piccoli incentivi come la possibilità di tornare a viaggiare insieme a dei membri della famiglia, naturalmente a loro volta vaccinati. Oppure quella di non dover più indossare le mascherine in determinate situazioni.

Il tennis non è ancora arrivato a tanto, ma qualcosa sta iniziando a muoversi anche nel mondo della racchetta. Manca ancora l’ufficialità, ma il prossimo Masters 1000 di Monte Carlo dovrebbe diventare il primo torneo a beneficiare di un protocollo sanitario leggermente meno severo, ma solo ed esclusivamente per i tennisti in grado di fornire all’ATP un certificato di avvenuta vaccinazione. Questi giocatori verranno inseriti nella “Testing Exemption List”, il che almeno per ora non li esenta dal doversi sottoporre a un tampone all’arrivo ai tornei, ma gli permette di evitare l’isolamento (sin qui obbligatorio) fino all’accertata negatività del test. In più, chi è risultato positivo negli ultimi tre mesi e non ha più sintomi può evitare il tampone prima e durante il torneo, mentre – e questo è molto importante – i giocatori vaccinati non saranno più considerati contatti ravvicinati di eventuali membri dei loro staff che dovessero risultare positivi. Una situazione che a più di uno è costata il forfait da alcuni tornei. Piccoli vantaggi che non cambiano la vita, ma iniziano a segnare una differenza fra chi è vaccinato e chi no. Ecco perché l’ipotesi di una vaccinazione ai tornei da parte dell’ATP assume ancora più senso, in quanto abbatterebbe le possibili differenze dovute allo stato della campagna vaccinale nei diversi paesi di residenza dei giocatori.

Oltre alle policy di ATP e WTA, che daranno sempre maggiore libertà ai vaccinati finendo indirettamente per fare pressione su coloro che preferirebbero evitare il vaccino, i tennisti dovrebbero presto trovarsi a fare i conti anche con le politiche dei diversi stati. Non appena i vaccini raggiungeranno la produzione e la diffusione sperata, infatti, certi paesi potrebbero individuare nell’avvenuta vaccinazione la condizione necessaria per partecipare ai propri tornei, o addirittura per mettere piede sul proprio suolo nazionale. Una soluzione che renderebbe il vaccino obbligatorio per partecipare ai tornei di tennis, seppur in maniera indiretta e quindi senza che ATP e WTA debbano prendersi alcuna responsabilità – che non hanno diritto di prendersi – nei confronti dei propri atleti. Sarebbe la soluzione ideale per fare felice il governo del tennis, gli organizzatori dei tornei (che per i protocolli sanitari spendono palate di soldi) e il pubblico, che attende impaziente di tornare sugli spalti. Il tutto a spese di quei giocatori che non vogliono sentire parlare di vaccino, e anche in questa occasione stanno mostrando un pizzico di egoismo. Sono loro i veri sconfitti della pandemia.

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