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di Marco Caldara
20 January 2021

Lamentele da Melbourne: richieste giustificate o capricci?

La quarantena pre Australian Open non è nemmeno a metà, eppure se ne sono già viste di tutti i colori. Da parte dei tennisti sono arrivate lamentele di ogni tipo, poche sensate e tante fuori luogo. Come se la situazione che ci circonda non li riguardasse

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Sembra di stare in una prigione. Queste persone (il governo del Victoria, ndr) non hanno idea di cosa sia il tennis”. L’ultima tuonata dalla rumorosa quarantena di Melbourne parla l’inglese traballante di Roberto Bautista Agut, ed è stata sottoscritta in fretta da Yulia Putintseva, che dall’altra sponda – quella WTA – ha rincarato la dose postando una foto su Instagram, nella quale regge un cartello con la scritta “abbiamo bisogno di aria fresca da respirare”.

Parole pesanti: non tanto quelle della tennista kazaka che delle esagerazioni fa da sempre uno dei suo tratti distintivi, con tanto di dito medio in mondovisione al pubblico australiano solo un paio di anni fa, ma quelle dell’ex top-10 spagnolo sì. È sempre stato un personaggio composto, educato, e di lui non si ricordano comportamenti fuori dalle righe. È corso ai ripari con un post, spiegando che la sua frase è stata estrapolata dal contesto, in una conversazione privata, e divulgata senza il suo consenso. Ma il pensiero resta tale, e unito a tutte le notizie che arrivano dall’Australia fa sorgere delle domande. Si tratta di richieste giustificate? Oppure non sono altro che i capricci di chi non vuole adattarsi a una normalità diversa dal solito nemmeno nel mezzo di una pandemia? Non è che i fenomeni della racchetta siano un tantino viziati? Vista la situazione vien da pensare di sì.

Sono passati appena cinque giorni – dei 14 – di quarantena, eppure si è già visto un po’ di tutto. La ragazza di Tomic è arrivata a lamentare addirittura la scarsa abitudine a doversi prendere cura da sola dei suoi capelli (sorvoliamo: se avesse tutte rotelle funzionanti non starebbe con Tomic...), mentre molti altri hanno puntato il dito contro il menù degli hotel australiani, giudicato insoddisfacente. Avrebbero potuto fare come Benoit Paire, che fedele al suo stile se n’è fregato e ha ordinato calorie e grassi da McDonald’s, oppure ricordarsi dei 100 dollari al giorno che l’organizzazione mette a disposizione di tutti per il delivery.

Basta prendere il cellulare e fare l’ordine, che arriva direttamente in camera. Non esattamente uno sforzo sovrumano. Lamentele futili che fanno passare in secondo piano i due problemi veri: l’obbligo di quarantena forzata per i 72 giocatori che hanno volato insieme a delle persone testate positive all’arrivo in Australia (pare che di questa eventualità i tennisti non fossero stati informati), e la disparità di trattamento a favore dei big in quarantena ad Adelaide, di cui ha parlato bene Max Sartori nel suo contributo per Il Tennis Italiano. Eppure, i favoritismi sembrano non importare a nessuno.

Va detto che in mezzo a tanti giocatori sul piede di guerra c’è anche chi ha provato a fare qualcosa di buono: Vika Azarenka (applaudita da Sara Errani) ha chiesto ai colleghi empatia, collaborazione e rispetto di una situazione che a molti è costata la vita, mentre da Adelaide il sindacalista Djokovic – che si è preso del pagliaccio di Kyrgios per un video in cui aveva la mascherina abbassata – ha chiesto un alleggerimento delle misure da parte del governo. Ma dal commissario Emma Cassar è arrivato un secco no, fedele alla politica estremamente attenta di un paese che blindando i confini ha contenuto la cifra dei decessi sotto quota mille. Hanno detto sì al torneo in nome del dio denaro, anche se di accogliere 1.200 persone (fra tennisti e relativi staff) provenienti da ogni angolo del globo avrebbero fatto volentieri a meno, ma di trattamenti di favore non se ne parla. E non se ne parlerà. Un duro colpo per i tennisti, abituati a ottenere ciò che vogliono e pronti quando non ce la fanno a sfidare gli organi di governo. Lo dimostra la recente nascita della PTPA, che a differenza dell’ATP non comprende dei rappresentanti per i tornei, e punta perciò a far valere dei diritti – veri o presunti – che i giocatori accampano da parecchi anni.

In realtà, il tennis è addirittura uno dei pochi sport nei quali i giocatori siedono ai tavoli decisionali, ma i tennisti chiedono comunque maggiore trasparenza, in particolare sulle faccende economiche. Perché tutto o quasi, come è facile immaginare, ruota attorno ai soldi. È stimato che degli introiti di un torneo del Grande Slam ai partecipanti venga ridistribuita una cifra che va dal 10 al 15%: troppo poco secondo i giocatori, che essendo gli artefici di tale fatturato ritengono di dover guadagnare di più. E pazienza se chi vince uno Slam porta a casa cifre mostruose, e anche il gettone di partecipazione per chi perde al primo turno (63.000 euro a Melbourne) vale da solo il reddito annuo di milioni di persone. I giocatori vogliono sempre di più, ingolositi da un sistema che in altri sport permette di guadagnare cifre importanti a una fascia più ampia di protagonisti. Giusto o sbagliato che sia, almeno in quel caso la battaglia è accettabile, mentre sulla questione australiana in molti non ci stanno facendo una bella figura. Per fortuna – questione sanitaria a parte – ne guadagna almeno l’intrattenimento, anche grazie al modo dei giocatori di utilizzare Twitter, Instagram e affini, più libero e meno schiavo del solito maledetto politically correct. Vederli confinati dentro a quattro mura con le finestre blindate, in preda alla noia e costretti come noi a cambiare le abitudini nel nome dell’interesse collettivo, ce li rende più vicini. Che gli piaccia o meno, la pandemia mondiale riguarda pure loro. Anche se non tutti sembrano in grado di capirlo.

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