E se Nick Kyrgos stesse maturando? E se stesse diventando più - okay, bisogna dirlo con circospezione:- ‘affidabile’?…
Senza perdere la follia che lo abita, inguaribile e benedetta, ma limando le nevrosi che in lui tendono pericolosamente alla psicosi. I cinque set scuciti a Khachanov - 4 ore e 24 minuti, il match più lungo della sua carriera - il russo tutto dedizione e ferramenta, sono una mezza prova che arriva dopo altri indizi. Con una coscia dolorante - «e le gambe, ragazzi, che pesavano quaranta chili ciascuna…» - Nick il Folle non ha mollato, non si è disunito. Non si è cercato un’uscita di sicurezza scavando nel muretto fragile delle scuse. Ha tenuto duro, anche dopo il tie-break perso nel quarto set, e nel super tie-break del quinto ha incollato un punto all’altro restando appiccicato al match. E se l’è preso con uno scambio, quello che lo ha portato al matchpoint, che è la dimostrazione lineare di come il giullare del tennis - quello che ti fa giocare un passante per vedere come va a finire, o che invece di piazzare uno smash aspetta il rimbalzo per baloccarsi con un tweener -, che Nick l’incompiuto sa anche trasformarsi in talento architettonico puro, essenziale: diritto alzato sul rovescio di KK, rovescio schiacciato che scatta lungolinea come un cobra. Applausi a scena aperta, e non solo perché si gioca a Melbourne.