Non per soldi ma per passione. La storia di Jessica Pegula

Si è rivelata agli Australian Open 2021, raggiungendo i quarti di finale. Oggi è al n.31 Wta, destinata a scalare nuove posizioni dopo la convincente prestazione agli Internazionali d'Italia. La carriera tennistica di JP, sostenuta da un'agiatezza economica invidiabile, è tutto fuorché banale: ostacolata da infortuni, affiancata dal business ma guidata da una irriducibile passione per il tennis

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E' ricca, Jessica Pegula, molto ricca. Ma non pensate che nel tennis questo sia garanzia sufficiente per raggiungere il vertice, perché la ragazza nata a Buffalo il 24 febbraio 1994 ha sì la fortuna di non avere mai avuto preoccupazioni economiche ma, per converso, da sempre si rapporta con genitori parecchio ingombranti e deve fare i conti con un fisico fragile che talvolta la tradisce.

Mettiamo i fatti in fila. Jessica, detta “JP” oppure “Jessie” ha un babbo, Terrence detto Terry, che fa notizia. Classe 1951, originario della Pennsylvania, imprenditore del settore energetico, negli anni ottanta ha fondato, con 7500 dollari rocambolescamente racimolati, la East Resources che per prima ha sfruttato il gas naturale intrappolato da milioni di anni nelle marcellus formation, rocce tipiche degli Appalachi, grazie a una tecnologia brevettata di fracking. Venduta l’azienda nel 2010 alla Shell e all’American Energy Partners per oltre sei miliardi di dollari complessivi, Pegula senior ha diversificato i propri investimenti, puntando anche su intrattenimento, ristorazione, immobili e, in misura minore, produzione musicale e prodotti alimentari.

Dal primo matrimonio ha avuto due figli, dall’altro tre, la più grande dei quali è Jessica. La seconda moglie Kim, nata a Seul e subito abbandonata dai genitori, fu adottata da Ralph e Marilyn Kerr, canadesi trasferiti negli USA, che avevano già due figli maschi, biologici. La vigilia di Natale del 1974 il telefono squillò mentre erano tutti a casa, a Fairport, sulle rive del lago Ontario: «Potete venire subito a prendere subito la bambina in Corea?». Partirono prima di Capodanno. Dopo la high school e il college, Kim avrebbe voluto fare l’anchorwoman. Invece, un giorno incrociò il futuro marito all’Old Library Restaurant di Olean mentre con un’amica stava compilando i moduli per ottenere un lavoretto estivo: nel tavolo vicino Terry pranzava con alcuni colleghi. Era il 1992, si sposarono l’anno dopo.

Laureata in un’università privata che fa capo ai metodisti della Wesleyan Church, Kim partecipa personalmente alla gestione delle aziende di famiglia presiedendo alcuni consigli di amministrazione. Terry è notissimo nel mondo dello sport in quanto proprietario della holding Pegula Sports and Entertainment che a sua volta possiede i Buffalo Sabres della National Hockey League e, con la moglie, dei Buffalo Bills della National Football League, oltre che dei Buffalo Bandits e dei Rochester Nighthawks della National Lacrosse League.

Tutti i Pegula considerano lo sport un dovere personale e, insieme, un’occasione di business. Jessie impugna la prima racchetta nel 2001. Tre anni dopo i ben retribuiti maestri dello Smith Stearns Tennis Academy di Hilton Head, nel South Carolina, intuiscono le sue potenzialità.

Si racconta che nel 2005, esordiente nell’Eddie Herr International Junior Championship con avversarie under 12 già in odore di santità tennistica come Sloane Stephens, Madison Keys, Eugenie Bouchard e Ajla Tomljanovic, l’approccio di JP sia da veterana: nei primi due match cede soltanto tre game. Da allora la crescita tecnica e agonistica è costante: a 17 anni sfonda quota 300 nel ranking Wta e si qualifica per il tabellone principale di Indian Wells. A 18 è tra le prime 150 al mondo.

È un serio infortunio al ginocchio a rispedire Jessie al via. È il 2013, le serve un anno per ripartire, fisioterapia dopo fisioterapia, allenamento dopo allenamento. Nel 2015 supera le qualificazioni sulla terra verde di Charleston, sull’erba di ’s-Hertogenbosch e soprattutto sul DecoTurf blu di Flushing Meadows. Nel 2016 fa sempre meglio, raggiungendo la semifinale del torneo di Washington, che di fatto apre la stagione nordamericana, e poi giocando per la prima volta agli Us Open nel Louis Armstrong Stadium. Jessie è a un passo dalle top 100. Il secondo infortunio, all’anca stavolta, si rivela ben più grave del precedente: «Capii subito che mi avrebbero operato. Per un momento pensai di smetterla con il tennis», rivelerà in un’intervista.

Ma JP ha i geni dei genitori, gente davvero tosta. Resta lontana da circuito dall’ottobre 2016 all’agosto 2017. Precipitata nel girone delle dannate oltre quota 600 al mondo, torna a calcare i palcoscenici con poco pubblico e meno soldi, in dieci mesi s’iscrive e partecipa a diciotto tornei Itf. Intanto comincia a occuparsi di affari, come la famiglia pretende dai ragazzi Pegula.

Apre il fast food naturale Healthy Scratch all’interno di uno degli stadi di hockey del padre, a Buffalo, poi finanzia una linea di prodotti estetici che chiama Ready 24.
E lei è ready, disponibile, 24 ore su 24, se si tratta di tennis. Instancabile, raggiunge ogni luogo d’America dove qualcuno organizzi un torneo, impila un punticino Wta sull’altro, prova a entrare nei tabelloni dei Premier Wta. Nel settembre 2018 arriva la prima finale a Quebec City contro la francese Pauline Parmentier. Nel 2019 lascia a Bianca Andreescu il titolo a Newport e infligge un netto 6-2 6-2 a Camila Giorgi Citi nella finale dell’Open di Washington. Quando si chiude la stagione, è la numero 76 del ranking.

Nel maledetto 2020 covidiano lavora durissimo in au- tunno sotto la guida di Witt, che dice di lei: «Adesso colpisce la palla così pulita che è difficile per chiunque rispondere. Stiamo cercando di migliorare ancora il servizio. Il suo gioco a volo è di livello altissimo». È vero, e si vede con indiscutibile chiarezza agli Australian Open. JP punisce in due set (7-6 6-4) Vika Azarenka nel primo turno, lascia un solo game (6-0 6-1) a Samantha Stosur nel secondo, umilia (6-2 6-1) Kristina Mladenovic nel terzo. Negli ottavi di finale, concede un set (6-4 3-6 6-3) a Elina Svitolina, WTA 5. Sono tutte Top 10 o ex Top 10. Dopo la vittoria sull’ucraina, Jessie scarabocchia con il pennarello sull’obiettivo di una telecamera a bordo campo: «Hi mom, hi dad, see you next rd Jen B.», «Ciao mamma, ciao papà. Ci vediamo al prossimo turno, Jen B.». Jen B. è la sua amica Jennifer Brady, classe 1995 di Harrisburg in Pennsylvania, WTA 24 prima dello slam, che due giorni dopo avrà ragione di JP in tre set, 4-6 6-2 6-1. Niente semifinale slam, quindi.

Jessie lascia Melbourne da numero 43 al mondo. Adesso negli Stati Uniti chiunque abbina lei al cognome Pegula: con le eccezioni dei tifosi di Bills, Sabres, Nighthawks e Bandits e dei lupi di Wall Street, per i quali l’unico Pegula resta Terry.

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