Al termine del torneo di Wimbledon, indipendentemente da come andrà, Shapovalov sarà intorno alla 25esima posizione del ranking ATP. Equivale a un passo indietro di praticamente tre anni, e il discorso è all’opposto rispetto a quello che si può fare per Berrettini, altro che perderà parecchie posizioni dopo i Championships. Nel caso del romano la classifica mente e non rispecchia quanto visto ultimamente, mentre per quanto riguarda Shapovalov simboleggia alla perfezione un lungo periodo negativo. Fa doppiamente male perché fra Wimbledon di dodici mesi fa e l’ultimo Australian Open, dove ha fatto fuori Zverev e poi tenuto testa per cinque set a Nadal (sia in campo sia di carattere, polemizzando per la lentezza di Rafa fra un punto e l’altro), pareva aver compiuto un salto di qualità a livello mentale. Invece è di nuovo regredito, e la scelta di dare il benservito a Jamie Delgado, ingaggiato a fine 2021 ma mollato dopo Miami malgrado la prova di tre mesi non fosse andata male, non lo aiuterà di certo. Con l’ex coach di Murray all’angolo era parso subito maturato, più concreto, più solido negli scambi e nella testa, ma la scintilla fra i due non è scoccata e Denis ha deciso di affidarsi a tempo pieno a un personaggio a lui più vicino come il connazionale Peter Polansky, che ha detto basta col professionismo solamente a febbraio, rilanciandosi subito dopo come allenatore. Il problema è che di esperienza non ne ha, il che lascia più di un dubbio sulla decisione.
Quando gli hanno chiesto il motivo della separazione da Delgado, “Shapo” non ha saputo entrare nei dettagli. Ha detto che la qualità del coach era alta, ma sentiva non fosse l’uomo giusto per lui e per il suo tennis, mentre con Polansky ha un feeling diverso, sia negli allenamenti sia fuori dal campo. È importante anche quello, ma fra un coach in grado di dargli la giusta disciplina e un amico, forse, l’opzione che gli serve è la prima e non la seconda, altrimenti c’è il rischio che le soddisfazioni continuino a essere solo per la sua fidanzata Miriam Bjorklund, svedese che dopo aver superato le qualificazioni al Roland Garros l’ha fatto anche a Wimbledon, dove sarà la prima avversaria di Ons Jabeur. Per fortuna, nell’intera stagione sul cemento americano il canadese avrà da difendere poco più di 100 punti, quindi avrà modo di recuperare le gravi perdite dei prati. Ma più che i punti ciò che gli serve è un vero e proprio cambio di rotta, per non dipendere più da un momento positivo oppure negativo, dalla carica di un punto spettacolare o dalla delusione per un doppio fallo, ma costruirsi un rendimento medio in grado di garantirgli sempre il minimo indispensabile. È quello che nel tennis di vertice fa la differenza fra i fenomeni e tutti gli altri. Lui – con la complicità di chi gliel’ha ripetuto per anni – credeva di appartenere alla prima categoria, invece il presente gli sta ripetendo che fa parte della seconda. Tornare dall’altro lato non sarà per niente semplice.