di Massimo D'Adamo
12 February 2021

Basta moralismi, i litigi fanno parte dello sport

La rissa verbale fra Fognini e Caruso ha sollevato molti commenti, ma siamo sicuri che non c'entri più il politically correct che la realtà della competizione?

Foto Ray Giubilo

«L'importante è partecipare», è il famoso adagio attribuito a Pierre de Coubertin. Semmai fosse vero, in realtà il barone mutuò le parole dell’arcivescovo della Pennsylvania monsignor Ethelbert Talbot il quale, attingendo alla filosofia greca, ebbe ad aggiungere, «…ma con spirito vincente». Dunque all’origine delle parole c’era il chiaro invito a partecipare e a dare il meglio. Per estensione si potrebbe intendere che lo sport competitivo deve essere partecipato con la massima lealtà ma sfrondato da influenze formali che poco attengono al risultato. Non è proprio un «fine che giustifica i mezzi» ma ci manca poco.

Questo per dire, che quanto accaduto sulla John Cain Arena tra Fognini e Caruso non ha nulla di scandaloso nella concezione competitiva di un confronto sportivo, se non nella lettura dall’immaginario collettivo che troppe volte confonde la correttezza con atteggiamenti mielosi, poco affini alla competizione nuda e cruda. Ho sentito e letto voci scandalizzate per lo spettacolo negativo offerto dai due giocatori al termine di un match comunque stupendo.

Il fatto è che questo sport si trascina al seguito orpelli che potevano essere validi quando a frequentarlo erano conti e marchesi. Oggi la competizione ha cambiato volto di pari passo con la lotta per emergere nel sociale e, fatta salva la lealtà dei comportamenti, non vedo nulla di scandaloso nel battibecco nato tra due contendenti che fino a pochi minuti prima se le sono date di santa ragione pur di uscire vincitori dall’agone. Mi piace meno il perbenismo gossipparo con cui vengono trattate questioni come questa, solo perché infrangono la tacita regola del politically correct secondo cui si pensa una cosa per dirne un’altra. Vorrei tanto vedere quanto segna lo scusometro di un giocatore che scrocca un punto per via di un net vigliacco, o il dispiaciometro mostrato per una riga spizzata. A parole segnerebbe il massimo, nella realtà sfonderebbe lo zero.

Allora concludo questa mia breve dicendo che così come è stato abolito il Challenge round che inseguiva un’idea elitaria del tennis, e così come il tennis Open ebbe ragione, viva il cielo, su quello patinato del dilettantismo puro, allo stesso modo la modernità dovrebbe esentare i giocatori dal mostrarsi contriti a tutti i costi di fronte a colpi di c…., che fanno parte del gioco e attengono a ogni azione consumata nella vita comune.

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