Un match esemplare, quello appena vinto a Melbourne, un ammaliante giro di valzer condotto sulla pista della Rod Laver Arena, danzato al ritmo di colpi zampillanti tecnica, tattica e travolgente passione. Una missiva spedita al mondo della racchetta diviso tra chi lo ama incondizionatamente e chi invece lo avversa dandogli del presuntuoso. Fossi in lui, sulla questione metterei una pietra sopra pensando che trattasi di destino, quello che attiene da vicino a chi possiede personalità in esubero. Come tennista ci ha abituati a vittorie figlie del pensiero razionale e anche il match odierno è stato un frullato di pensieri tradotti in traiettorie ogni volta pensate e trasformate in logiche geometrie. E di lui, ai posteri rimarrà proprio la rara capacità di leggere i punti e quel suo modo unico di uscire dal 30 pari come inseguito e non da inseguitore.
Una concezione da elevare a giurisprudenza nelle regole del tennis bene interpretato. In questa nona vittoria nella terra dei canguri, abbiamo assistito a una nuova ricerca di se stesso, alla luce di un gioco senza grinze espresso in una galleria di colpi tutti anima e corpo, incorniciati in un quadro stupendo nel quale Medvedev ha potuto inserire soltanto pennellate di vago astrattismo.
Quel serve&volley sul 4-2 del quarto set, coronato da una volée vincente di rovescio racconta di un campione poliedrico, capace di uscire dalla sua razionalità per andare a soluzioni stupende e a tratti fantasiose da ogni parte del campo. Non bastasse, qualche punto più tardi ha mostrato che i punti non si contano, ma si pesano, riportando uno scambio furibondo da far tremare i polsi.
Saranno i campi, il pubblico, l’aria che respira. Saranno financo la pioggia o le nubi, sta di fatto che in quel Melbourne Park qualcosa per il serbo fa la differenza con il resto del mondo. E come Nadal a Parigi e Federer a Londra, anche per lui quei campi hanno un certo non so che di impercettibile che su noi mortali passa e fugge via mentre su di lui ha l’effetto che conosciamo.