Una partita complicata quella vinta da Jannik Sinner contro Denis Shapovalov agli US Open, girata anche grazie ad un colpo sbagliato

Credo sarà sempre e comunque il più eclatante dei gesti di stizza che vedremo fare a Jannik Sinner da qui alla fine della sua carriera. Quello che sull’1-0 nel terzo set, dopo un rovescio in rete che concedeva a Shapovalov due palle break, lo ha spinto a lasciar cadere la racchetta sul cemento azzurro di Flushing Meadows. Un rimbalzo breve, pochi centimetri, e la Head subito di nuovo in pugno. Un gesto discreto, appena accennato, e fatto mentre si girava verso il fondo campo, defilato, come a chiedere comunque scusa a chi lo avesse anche soltanto intravisto. Nulla a che vedere, lontano anni luce dagli scatti d’ira di Daniil Medvedev o di Andrej Rublev, o da quello che domani sarà il suo avversario agli ottavi, Alexandr Bublik. Una specie di “perdindirindina” o “perbacco”, insomma. Niente di più. Quel gesto innocuo era la sottolineatura a tutte le difficoltà, a tutta la fatica cui lo stava sottoponendo un ritrovato Denis Shapovalov, uno dei talenti più sprecati di questi ultimi anni, uno dei soci onorari del “Club degli Scienziati”, fondato da Adriano Panatta e Paolo Bertolucci. Una partita complicata, lontana dai primi due turni risolti in scioltezza dal numero 1 del mondo, e le richieste, con gli sguardi e a voce verso il box, verso Vagnozzi e Cahill (“Oggi va così, bisogna stare lì e lottare”, gli ha detto a un certo punto Vagnozzi, il saggio). E mentre Sinner li stava ad ascoltare, Shapovalov, come altri suoi colleghi, man mano che la partita gli sfuggiva di mano, se la prendeva col suo angolo, dava la colpa a loro per ogni suo errore. Questione di stile. Ma quanto bene deve guadagnare un coach per sopportare di essere mandato a quel paese, e più volte, in mondovisione? Questo tipo di partite fino a non molto tempo fa Jannik Sinner le perdeva (ricordate un certo Altmeier al Roland Garros?), oggi sa trovare soluzioni anche quando le cose si mettono male e lui non è proprio nella giornata migliore. E domani tocca di nuovo a Alexandr Bublik, colui che quella volta a Miami gli disse “Non sei umano, hai quindici anni, non puoi giocare così bene”. Poi però è arrivata Halle, qualche mese fa. Sarà un’altra partita rognosa. Chissà se ci sarà bisogno ancora della saggezza di Vagnozzi e Cahill, se sarà necessario far rimbalzare ancora una volta la racchetta per terra.
Roberto Ferrucci è nato a Venezia (Marghera) nel 1960. Ha esordito nel 1993 con il romanzo “Terra rossa”, pubblicato da Transeuropa, e in quegli anni ha scritto spesso per “Il Tennis Italiano”. Il suo ultimo libro “Il mondo che ha fatto”, che racconta la sua amicizia con lo scrittore Daniele Del Giudice, è stato pubblicato nel 2025 da La nave di Teseo e candidato da Claudio Magris al Premio Strega. Scrive per i quotidiani di Nordest Multimedia e su La Lettura del “Corriere della Sera”. Dal 2002 insegna Scrittura creativa alla facoltà di Lettere dell’Università di Padova, conduce laboratori di scrittura in Italia e Francia. Per Helvetia Editrice dirige la collana “Taccuini d’autore”.

