Roger, più gratitudine che nostalgia

Ormai il popolo federeriano si è rassegnato a tifare in... assenza. Ma anche ricordare le tante tappe di una carriera meravigliosa, in attesa che arrivi il capitolo definitivo, è segno di affetto. Come ci spiega, con la solita armonia fra passione e cultura, il nostro biblista-tennista

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“Dovresti scrivere un Viaggio al termine di Roger”. Così, qualche giorno fa, mi ha incitato il Direttore, parafrasando il titolo di un noto romanzo dello scrittore “maledetto” Céline. Detto, fatto. O almeno, un breve viaggio, perché la materia richiederebbe un’elaborazione più ampia. Eccoci alla prima tappa di questo cammino non più rimandabile: ormai ci siamo, non serve aggiungere altro.

Può stupire, ma gli argomenti non mancano mai per chi ha nel cuore il Re. Mi riferisco anzitutto a una sua recente intervista su un noto magazine internazionale. Queste le sue parole di apertura: “La standing ovation che ho ricevuto quest’anno a Wimbledon è stata speciale. Quando sono uscito dal campo, ho potuto sentire l’amore dei tifosi. Certo, è sempre difficile lasciare il campo dopo aver perso a Wimbledon, prima della finale. Non ti resta che preparare in fretta la borsa e lasciare la scena al tuo avversario”.

Nel commentare questa uscita di scena ci vengono incontro alcune parole alate, proprio di Céline, più precise di un rovescio lungolinea all’incrocio delle righe di Sua Fluidità: “è più difficile rinunciare all’amore che alla vita”. Game, set and match. Solo paradosso o possiamo scavare più in profondità? Se il piccolo gioiello intitolato Cantico dei cantici, che con miracoloso ardire si spinge fino a collocare l’eros al cuore della Bibbia, si chiude affermando che “forte come la morte è l’amore, tenace come gli inferi è la passione amorosa”, tutto si fa più chiaro: non la vita, ma solo l’amore può lottare contro la morte. E forse vincere.

L’amore è più della vita. L’amore riempie di sé la vita. L’amore è anche più di un Grande Slam, come ha dichiarato commosso Djokovic dopo esser stato travolto dall’affetto del pubblico nella rovinosa sconfitta alla finale degli US Open, a un passo dalla leggenda. Ed ecco che l’atto di fede(rer) si fa atto d’amore. Nell’ora del congedo, segnata da una simbolica e definitiva uscita dalla Top Ten del Re, come cantare, pur in sua assenza, il nostro amore per chi ci ha accompagnati per lunghi anni con le sue magie? Non so, non sono poeta. Potremmo aprire un concorso poetico sulla nostra rivista in onore del Re? Lascio ad altri di pensarci. Non so nemmeno se lo vedrò ancora in campo (mi rimangono pur sempre i biglietti per il torneo di Halle dal 2020, ma chissà se l’estate prossima lui ci sarà o se potrò andarvi…). Non so e non voglio sapere tante altre cose, una su tutte il giorno del ritiro. L’unica cosa di cui a fatica vado convincendomi – perché la speranza di pure rivederlo a tratti mi assale – è che la scia di bellezza lasciata dall’Artista nella vita mia e di milioni di altri uomini e donne non si cancellerà mai. Sarà una traccia indelebile, luminosa.

Sarà stata una tappa bellissima del viaggio della nostra vita. Stiamo diventando troppo sentimentali? Di nuovo, non so, ma non sarebbe poi così male. Stiamo cambiando il nostro modo di pensare a Roger. Prima lo aspettavamo di torneo in torneo, con l’emozione di un primo appuntamento sempre rinnovato con una ragazza bellissima e l’ardore di un ventenne. Poi ci siamo forzati ad accontentarci di qualche vittoria prestigiosa. Poi ci è bastato qualche colpo di genio, ogni volta un pezzo unico, irriproducibile. Ora dobbiamo abituarci a ricordarlo. Senza eccessiva nostalgia combattuta con spezzoni compulsivamente cercati su YouTube. Ma con una gratitudine mai e poi mai sufficiente. Perché? Perché “l’amore vince tutto e noi cediamo all’amore”, direbbe Virgilio. E ringraziare è voce del verbo amare, senso del verbo vivere.

Alla prossima tappa del tuo addio ormai vicino, caro Roger…

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