Due visioni diverse di gioco – quelle di Gigante e Tsitsipas – a riproporre un dualismo tra mondo greco e latino dei tempi passati

Da fiero ateniese quale è, Stefanos Tsitsipas si sarà sicuramente edotto sui giganti della
mitologia greca: creature grandi e grosse, temerarie al punto da lanciare sfide perfino agli dèi. Un mito verso cui il bell’acheo del terzo millennio, deve aver nutrito ragionevoli dubbi quando, deambulando sconfitto verso la rituale stretta di mano , s’era trovato incredulo dinanzi al suo freso castigatore, giovane ventitreenne di fisicità contenuta seppure di nome facesse Gigante .
Un mancino talentuoso , figlio stavolta di miti latini, buono per tutte le stagioni e per ogni superficie, tale e tanta è la sua capacità di spaziare con disinvoltura da risposte aggressive ad altre di contenimento , da passanti precisi a lob ben calibrati, da chiusure potenti a drop shot abilmente piombati. Un soggetto, l’ennesimo Matteo del tennis tricolore, da poco approdato ai tornei del grande Slam, dopo un recente trascorso tra le dure racchette del mondo Challenger.
Questo e assai di più è stato il Gigante che ieri, oltre la rete, ha estromesso dal Roland Garros 2025 il ben più prestante e discendente dei figli di Gea. Un confronto tra forza fisica e acume tattico che la dice lunga sul modo di guardare con altri occhi ai valori in campo.
Scampate le ire dei terribili omaccioni, il Pollicino dei giorni nostri se la vedrà ora con un altro collega, esponente anch’esso del gioco sinistro. Tale Ben Shelton, spara fucile a stelle e strisce più incline al bel gioco che non al conteggio arido dei punti. Non ci saranno giganti da abbattere né reputazioni da salvare e quanto ne verrà fuori sarà senz’altro qualcosa di spumeggiante e degno di nota.