È giugno e si gioca finalmente il tennis su erba. Tanti anni fa in questo periodo, dal centrale di Wimbledon un uomo riconosceva i giocatori più forti solamente guardando come appoggiavano i piedi sul campo. Ripercorriamo insieme una vecchia storia che ha come protagonista il campo più famoso del mondo e il suo custode

Foto Ray Giubilo

È di nuovo il periodo dell’anno in cui si gioca sull’erba ed è il periodo della stagione che preferisco. Il campo colorato di un verde sgargiante, la zona di fondocampo che si consuma man mano che i giocatori la calpestano, quell’eleganza connaturata a questa superficie che ricorda i fasti della prima metà nel Novecento. Il gioco sull’erba dura il tempo di un temporale estivo, nel giro di un mese questa fase si conclude e si passa al cemento americano, ma, finché c’è, il tennis può godere del fascino del manto erboso. L’erba c’è chi la ama e c’è chi la odia ma è impossibile non provare una sorta di ammirazione e soggezione per il torneo di Wimbledon, il più antico torneo nella storia di questo sport. Giocato dal 1877, il terzo slam in ordine cronologico ha visto passare i giocatori più forti di ogni epoca e ha visto passare anche varie tipologie di semi che sono state piantate per rendere così come la vediamo quella superficie strepitosa. L’erba di oggi non è la stessa di una volta: il 2001, l’anno spartiacque, ha trasformato la rasatura del prato da 6 millimetri a 8 millimetri, cambiando anche la composizione dell’erba rendendola più compatta e resistente. Il motivo? Negli anni anche il gioco del tennis è cambiato. Oggi non assistiamo più ai meravigliosi serve and volley di Jack Kramer, specialità consigliatagli da un ingegnere automobilistico all’ora in pensione, ma si è sviluppato un gioco molto più da fondocampo e di potenza. Così ora il campo è più lento, quasi simile al cemento. 

Ma c’è chi a questo campo dedica tutto il suo tempo e la sua attenzione e questi sono i giardinieri di Wimbledon. Tra tutti ce n’è uno che è passato alla storia ed è Robert Twynam, l’uomo che invocava la pioggia, mai per più di due ore: “giusto uno spruzzetto, per rinfrescare l’erba e basta”. Intervistato da John McPhee nel 1967, lui è lì da 44 anni e insieme alla sua famiglia ha alloggiato a Wimbledon. Prima di diventare il capo giardiniere del campo più famoso del mondo, è stato raccattapalle per Borotra, Cochet, Tilden, Marble. “Soli in questa arena immensa ci si sente sperduti” ha commentato raccontando di quella volta che ha provato il brivido di giocare sul Centrale per qualche minuto con un collega. Ma lui quell’arena immensa principalmente adorava contemplarla, studiarla e curarla – ogni tanto si fermava a guardare il prato come si fissa il fuoco di un falò. Con il suo prato di settecentottanta metri quadrati, il migliore al mondo, aveva un legame talmente intimo da tenere un diario esclusivamente dedicato al Centrale. Ci camminava sopra a lungo, avanti e indietro. Ogni tanto si metteva a quattro zampe e avanzava carponi, per osservare da vicino i rapporti, in perenne mutamento, fra le varie piante che ci crescevano. Nei lunghi decenni in cui ha accudito il manto erboso del grande slam inglese, si è visto passare davanti i più grandi giocatori dell’epoca e di ciascuno si è formato un suo giudizio solamente osservandoli da un unico punto di vista: come appoggiavano i piedi sull’erba. A lui non importava altro, guardava semplicemente come le loro scarpe trattavano il prato verde e da quello capiva se il giocatore era bravo o meno. Così l’uomo che sussurrava ai fili d’erba divideva i tennisti in tre tipologie: gli strusci, i pattini e le zappe. Gli strusci, i quali Twynam si auspicava uscissero tutti al primo turno, erano quei soggetti preoccupanti che nella prima fase del servizio spostano il piede posteriore fino a riunirlo con quello avanti prima dell’esplosione verso l’alto. Quell’azione, a lungo andare, lasciava “un solco a mezzaluna talmente netto da sembrare inciso a fuoco”. Seguivano i pattini, quelli che arrivano sulla palla scivolando per una buona metrata, veri e propri eretici del gioco. Infine, le zappe, quelli che nei momenti d’ira usano la racchetta come un’ascia. Erano pochi, secondo Twynam, i giocatori eletti che sembravano volare sull’erba, tra questi i grandi Rosewall, Emerson e Kramer. Non dimentica però di citare anche Budge Patty “un gran signore”, Suzanne Lenglen, lieve come una ballerina, e Maria Bueno che “praticamente vola – una farfallina”

“Twynam non è un orticultore, né un botanico, né un erborista, e il suo modo di crescere e curare le piante ha poco a che fare con la scienza. È un orante, che passa una parte del suo tempo a pregare per l’erba. […] Qualche sera Twynam prega per la pioggia, ma con un certo altruismo, nel senso che la invoca a partire dalle dieci e mezzo”, così viene descritto il giardiniere capo di Wimbledon, che è stata una figura mitologica realmente esistita, metà uomo metà oracolo. Alla fine della sua intervista, John McPhee si avvia insieme a lui sul campo centrale a vedere il campione in carica del momento, Santana, contro il poveretto di turno, Pasarell. Il giardiniere osserva solo i loro piedi, i loro movimenti e il contatto con l’erba, e quando Pasarell si prepara al servizio commenta: “Vede come lo appoggia piatto. Così, così. Un giocatore eccezionale. Non trascina il piede, nossignore”. È così che Robert Twynam, a tratti, più che un giardiniere ci appare come un sacerdote: le sue preghiere sulla pioggia vengono sempre esaudite e i suoi pareri sui giocatori nascono sempre in base alla loro clemenza con la superficie erbosa. Egli li giudica guardando soltanto i loro piedi, come questi si muovono lasciando zolle o meno sul campo, e allora capita anche che azzecchi un pronostico quasi impossibile: Pasarell vincente contro Santana. Oggi tra i giocatori eletti avrebbe messo sicuramente Federer, chissà che cosa avrebbe detto di Sinner.