Nel tennis, come nella vita, ci è chiesto di imparare a fare tesoro dei momenti di fragilità. Un compito che non può essere eseguito da soli, ma con l’aiuto di persone fidate. E’ questo l’augurio che il nostro biblista rivolge a Lorenzo Musetti e Matteo Berrettini

Davvero le cose si ripetono “sotto il sole”, come affermava il sapiente biblico Qohelet. E così, proprio nei giorni in cui dappertutto si celebra l’entusiasmante ascesa di Jan il rosso, eccoci di nuovo a riflettere – come undici mesi fa – sulla crisi delle altre due stelle più luminose del firmamento tennistico italiano: Matteo Berrettini e Lorenzo Musetti. Il primo, finalista nel 2021 a Wimbledon, sta preparandosi a rientrare, dopo mesi molto complessi; il Muse, uno degli ultimi alfieri dell’artistico rovescio a una mano, sta attraversando un periodo di fastidiosa e inspiegabile crisi, accumulando sconfitte su sconfitte.

Il tratto che li accomuna è di aver confessato pubblicamente la loro attuale condizione di fatica e fragilità. Che dire, oltre alla simpatia e vicinanza verso due ragazzi di grande stoffa umana oltre che sportiva, che torneranno certamente ai massimi livelli? Il Direttore ha già fatto commenti da par suo, svelandoci con sensibilità il lato oscuro della luna, che per i tennisti è sempre incombente. Non dimentichiamo infatti che in ogni torneo solo uno alla fine vince, e tutti gli altri perdono, per quanto ciò possa suonare banale…

Da biblista vorrei riflettere e far riflettere sull’intrinseca condizione umana di fragilità, che anche queste vicende sportive ci ricordano. Condizione icasticamente riassunta in un gioco di rimandi tra due vette poetiche all’interno del libro dei Salmi. Si parte da una stessa domanda, che l’autore rivolge niente meno che a Dio: “Signore, che cos’è l’essere umano perché tu lo ricordi e ti prenda cura di lui?”. Il Salmo 8 risponde: “L’uomo è poco meno di Dio, coronato di gloria e splendore”. All’altro estremo il Salmo 144 afferma invece: “L’uomo assomiglia a un soffio, i suoi giorni come l’ombra che passa”. Tra queste due polarità trascorre tutto l’umana esistenza su questa terra ed entrambe le risposte sono valide, volta per volta….

Dunque? Nel tennis, come nella vita, ci è chiesto di imparare a fare tesoro di questi momenti di fragilità. Se il rischio è quello di rimuoverli o addirittura nasconderli a sé prima che agli altri, la risorsa può essere quella di attraversarli, di renderli tappe di faticosa crescita, nel ranking della nostra irripetibile esistenza. Allora potremo cantare, con il Salmo 39: “Qual è la misura dei miei giorni? Che io sappia quanto sono fragile! Sì, è davvero un soffio ogni uomo che sta in piedi”. Ma proprio il soffio ci fa andare avanti, il respiro è il tessuto invisibile che ci rende umani. Proprio il soffio e l’ombra, assunti in pienezza, si aprono allo splendore, sono splendore! Se lo accettiamo, potremo anche spingerci fino a fare nostra una delle più belle invocazioni che si siano mai udite sulla terra: “Insegnaci a contare i nostri giorni, e condurremo il cuore alla sapienza” (Salmo 90).

Questo computo, però, non va fatto da soli ma sempre insieme a persone fidate, come appare visibile anche nella dimensione di “team” vissuta necessariamente dai tennisti. Qui ci viene in aiuto un saggio le cui parole non hanno nulla da invidiare all’intelligenza biblica: “Poiché le cose umane sono fragili e caduche, dobbiamo sempre cercare qualcuno da amare e da cui essere amati. Tolti infatti l’affetto e l’amore, ogni gioia è sottratta alla vita” (Cicerone).

Game, set and match.