US OPEN – Partito da un piccolo campo nel paese dove appare la Madonna, Marin Cilic sale sul tetto del mondo dopo una dolorosa sospensione per doping. A New York è stato ingiocabile, anche per Kei Nishikori in finale.

Di Riccardo Bisti – 9 settembre 2014

 
Tutti i croati ricordano esattamente dov’erano e cosa facevano il 9 luglio 2001, quando Goran Ivanisevic vinse Wimbledon. Quando Pat Rafter sbagliò l’ultima risposta, un intero paese scoppiò in lacrime. Lacrime di gioia per un ambasciatore che aveva legittimato l’esistenza di un paese nato pochi anni prima, dopo lo sgretolamento della ex Jugoslavia. Adesso hanno un’altra data da ricordare, la notte tra l’8 e il 9 settembre 2014. La vittoria di Marin Cilic allo Us Open ha dell’incredibile: se è vero che Ivanisevic era numero 125 ATP ed era stato ammesso con una wild card, aveva pur sempre giocato tre finali a Wimbledon. Cilic è un ottimo tennista, ma fino ad oggi non aveva giocato una sola finale in un Masters 1000 e non si è aggiudicato un solo ATP 500. Nel gennaio 2010 aveva giocato una semifinale in Australia ed era salito in nona posizione. “Ma non ci credeva. Lo conosco da quando ha 14 anni e ho sempre seguito la sua carriera. Non credeva nel suo gioco”. Parola dello stesso Ivanisevic: checchè se ne dica, la mano di Goran pesa tantissimo in uno degli Slam più sorprendenti della storia. Lo scorso anno, dopo aver dato uno schiaffo morale all’ITF nella vicenda-doping (gli avevano dato 9 mesi, l’ITF voleva un’incremento della pena, invece il CAS di Losanna l’ha ridotta a 4), ha bussato alla porta di Goran per chiedergli di lavorare insieme. L’ha trovata aperta. E 10 mesi dopo si sono abbracciati nel catino di Flushing Meadows, dopo il 6-3 6-3 6-3 a Nishikori che lo spedisce in paradiso. E poco importa se salirà al numero 9, o se è il primo Us Open dopo undici anni in cui trionfa un atleta non griffato Nike o Adidas. Ciò che conta è la favola, la rivincita di un ragazzone dagli occhi buoni che proviene da Medjugorie, il paese delle apparizioni della Madonna. Per avere dettagli su questo posto potete chiedere a Mara Santangelo, il cui processo di conversione è partito proprio a Medjugorie (e ci ha pure scritto un libro). Non sappiamo quanto siate credenti, ma non c’è dubbio che ai tempi dei bombardamenti nei Balcani, una nube coprì il paese dalla vista degli aerei pieni di tritolo. E l’unica bomba che fu sganciata…non scoppiò.
 


ZAGABRIA, SAN REMO, POI L'INFERNO
Zdenko Cilic è nato proprio lì, in quel paese di 3.500 anime. Era cresciuto tra vigneti e piantagioni di tabacco, così un bel giorno decise di lavorare ancor più duramente per regalare un futuro migliore ai suoi figli. Lui e la moglie Koviljka ne hanno messi al mondo quattro: Marin, nato il 28 settembre 1988, è il terzogenito. Nel 1991 fu costruito un campo da tennis e i fratelli Cilic furono tra i primi a utilizzarlo, ma i sogni di gloria svanirono durante la guerra dei Balcani, durata oltre tre anni. In realtà, il piccolo Marin giocava a calcio e pallamano. Ma grazie al cugino Talja e una sua visita a Medjugorie, quando Marin aveva sette anni, la racchetta è diventata un prolungamento del suo braccio. “Ho iniziato giocando tre volte a settimana, e in poco tempo ho vinto il mio primo torneo”. Aveva appena 9 anni quando ci fu il primo incontro con Ivanisevic, ma lo ricorda solo lui: era un’esibizione con Thomas Muster e gli fece da raccattapalle. Quattro anni dopo, quando Marin si era distinto come giovane di interesse nazionale, glielo presentarono. “Abbiamo palleggiato un po’ e gli ho dato dei consigli. Ho capito che in lui c’era qualcosa”. Risale a quel periodo l’addio all’amata Medjugorie: si spostò a Zagabria per dedicarsi al 100% al tennis. Mentre viveva col padrino, Ivanisevic lo convinse ad andare all’Accademia di Bob Brett a San Remo. Iniziò una collaborazione durata nove anni: vittoria al Roland Garros junior, conseguimento del diploma e ingresso tra i top-10 sono stati i passaggi più significativi. Hanno smesso di lavorare insieme lo scorso anno, prima del pasticcio-doping che ha rischiato di rovinargli la carriera. Quando è rientrato, ha pronunciato parole di fuoco. “Qualcuno voleva distruggermi, ma nessuno pagherà per questo”.
 


UN SERVIZIO TUTTO NUOVO
Poi è iniziata la collaborazione con Goran Ivanisevic. “E’ troppo forte per non battere i migliori. Deve soltanto crederci e trovare la sua strada – diceva a inizio anno – posso parlargli di tattica per cinque ore, ma in campo ci va lui”. L’intelligenza in campo, tuttavia, non era mai stata un problema. Semmai c’era quel servizio da aggiustare, troppo debole per essere alto 198 centimetri. E anche le volèe erano da rivedere. “Goran mi ha semplicemente detto: tira la palla in aria e colpisci. Prima pensavo troppo su questo colpo e mi irrigidivo”. E così il servizio è diventato un’arma terrificante: “Tira due ace a game e ottiene diversi punti gratis” diceva Ivanisevic dopo i successi a Zagabria e Delray Beach. I numeri dicono che ne tira 11 di media a partita e nel 2014 solo Karlovic, Isner e Raonic ne hanno sparati di più. Il servizio è la base del giocatore che ha trionfato a Flushing Meadows, trovando una forma impressionante negli ultimi turni. Ha lasciato le briciole a Tomas Berdych, Roger Federer e Kei Nishikori. Era da 23 anni che la finale dello Us Open non era così a senso unico. L’ultima volta risaliva al 1991, quando Stefan Edberg lasciò appena 6 game a Jim Courier. Gli sono bastate meno di due ore per togliere fiducia a un Nishikori già piuttosto stanco. La partita ha vissuto un momento importante già nel primo game, quando Cilic ha cancellato una palla break. Da allora ha raccolto 11 punti consecutivi al servizio, 19 dei successivi 20, spingendo Nishikori in mezzo a un incubo. Smaltito il nervosismo di inizio partita, ha ripreso dove aveva lasciato due giorni prima contro Roger Federer.
 


FINALE CON UN SOLO PADRONE
Il primo break arrivava con un dritto in slice di Nishikori terminato in corridoio dopo che Cilic lo aveva fatto ammattire con i suoi cambi di ritmo. Nel secondo set, la fuga si materializzava sull’1-1. Nishikori era bravo a rimontare da 0-40 (una deliziosa smorzata di dritto lo portava sul 40-40), ma aveva troppa pressione addosso. Pressione che lo portava a sbagliare. Un errore di rovescio spediva Cilic sul 2-1, che nel game successivo si trovava 15-40. A quel punto produceva il massimo sforzo: dritto vincente, due servizi vincenti, altro dritto e volèe vincente. Rino Tommasi avrebbe rispolverato la frase spesa 15 anni fa per Pete Sampras durante la finale di Wimbledon contro Agassi: “Così si gioca soltanto in paradiso”. Altri tre dritti impressionanti sigillavano un altro break, prodromo all’unico momento di distrazione. Nishikori accorciava sul 3-5 ma perdeva nuovamente il servizio e finiva sotto di due set. Non solo servizio: Cilic spadroneggiava da fondocampo e si prendeva un altro break a suon di variazioni e firmava il 3-1 anche nel terzo. Nishikori ha continuato a giocare, procurandosi le ultime chance sul 2-4. In quel momento, per l’unica volta, il braccio del croato ha tremato un po’. E Kei può recriminare su due delle tre palle break, in cui ha sbagliato un paio di risposte non impossibili, entrambe di dritto (la prima in lunghezza, la seconda sul nastro). Scampato il pericolo, un maestoso rovescio lungolinea lo portava sul 5-2. Pochi minuti dopo, nonostante un doppio fallo sul primo matchpoint (è pur sempre un allievo di Goran Ivanisevic!), un bel rovescio incrociato lo mandava in paradiso. State certi che tra 10, 20, 50 anni, tutti i croati ricorderanno cosa stavano facendo in quel momento.



SE LAVORATE DURO, CE LA POTETE FARE
Si è sdraiato per terra, ha abbracciato l’avversario sconfitto e poi è corso dal suo team. Niente scalate funamboliche, ci è arrivato dopo aver passeggiato in mezzo al pubblico. C’erano Goran, la fidanzata Kristina Milkovic (stanno insieme da 5 anni) e il fratello minore Mile, cui è molto legato “E che mi dà sempre ottimi consigli” oltre al preparatore fisico Slaven Hrvoj, il manager Vincent Stavaux e l’addetto stampa Igor Rajkovic. Durante la premiazione, ha mischiato frasi di circostanza ad altre più significative: “Non so come ho fatto a giocare così bene. Di sicuro ho fatto un gran lavoro, soprattutto con Goran. Mi ha dato la gioia nel giocare a tennis, il piacere e il divertimento anche nell’allenarsi. E’ stato molto importante tenere il turno di servizio sul 4-2, ma penso che questo torneo sia un messaggio per tutti i giocatori. Se lavorate duro, e lo fate seriamente, ce la potete fare”. Lui ce l’ha fatta. Può darsi che sia stato un miracolo della Madonna, ma di certo Marin ci ha messo del suo. 

US OPEN 2014 – UOMINI
Finale

Marin Cilic (CRO) b. Kei Nishikori (GIA) 6-3 6-3 6-3