Corrado Erba
05 April 2019

IL TENNIS L’È MINGA IL PATTINAGGIO

Nel nostro gioco, lo stile non è sempre sinonimo di successo. E, ancor di più, vale il discorso opposto. Perché anche un giocatore grezzo e di rimessa può diventare forte. Come insegna il garage di Snoopy
Guardavo poche settimane fa al club, un match femminile. Da una parte una ragazza biondissima, ex professionista (dice lei), vestita all’ultima moda, impugnava una profilata nerissima; dall’altra parte una signora sui cinquanta, in maglione e pantaloni lunghi bianchi. La ragazza mulinava rovesci bimani e mugugnava in falsetto, l’altra serviva dal basso e giocava lunghi pallonetti, abbozzando una sorta di rovescio a due mani. «Ma come faccio a perdere con ‘sta (bip) qui?» si è messa a ringhiare la belvetta. Risultato finale? Nove a uno (si giocava un long set) e la signora non ha accennato nemmeno a togliere i pantaloni della tuta.

«Ma come faccio a perdere con questo qui?». Quante volte avete sentito questa frase, spesso condita di coloriti e fantasiosi improperi? «Il tennis l’è minga il pattinaggio artistico», soleva bofonchiare il mio vecchio maestro Parri, non ci sono voti allo stile, conta solo il risultato. Proprio su questo numero si dibatte a proposito dell’amico Makiwa, un cinquantenne dal gioco sbrecciato, che ha cominciato a giocare ben oltre i trenta e ora batte svariati seconda categoria. Moltissimi leoni e non della tastiera, si sono inalberati, vedendo le immagini di questo ragazzone atletico, che gioca una ramata di dritto e un rovescio bimane, che definire grezzo sarebbe un eufemismo. Eppure corre, è veloce, non molla una palla, copre il campo benissimo, gioca sempre di controbalzo e soprattutto, si diverte un mondo.

Ma ecco, quelli che chiamo amichevolmente la Congrega dei 4.5 perenni, saltare su tra l’inviperito e il disgustato, commentando che uno così non può mai vincere contro una seconda, che le partite sono vendute, che non è più il tennis di una volta, che ai loro tempi (quali?) uno così manco lo facevano entrare in campo e giù a sputare sentenze. Eppure è facilissimo vedere match a prima vista ineguali. Mentre sorseggiate un crodino al bar, occhieggiate da lontano lo stilista perfetto sul campo centrale. Giovane e bellissimo, fasciato nell’ultimo completino di Federer, affronta lo sgraziato ragionier Bertozzi, armato di gambe storte e una racchetta anni quaranta. Magari vi rimarrà in mente la volata stoppata dello stilista e non farete caso ai quattro errori gratuiti seguenti. E quando, furibondo, farà per allontanarsi dal campo, non chiedetegli il punteggio, perché il naturale 6-1 6-2 sarà invariabilmente a favore dell’altro, che modestamente sarà impegnato a rinfoderare il racchettone in un ordinatissimo sacchetto della spesa.

Ma che non si confonda l’antiestetico con il pallettaro. Certo, spesso questo tipo di giocatori si affidano alla difesa, se non proprio alla rimessa, ma non sempre. C’è un socio del club, detto il Professore, un manager palermitano in trasferta, piccolino, l’aria mite, che vi chiederà di giocare esibendo un racchettone da amatore incordato a 15 chili con quelle che sembrano corde da pesca (e forse lo sono). Lo vedrete accennare un movimento di dritto e un back incerto. Il signore in questione però vi farà andare ai matti: una palla lunga e un’altra corta, un drop shot e un attacco in contropiede, seguito dalla classica moon ball. Se non siete molto più forti, non lo batterete mai. Il nostro amico Giangi, detto il Bomber perché è alto uno e 95 e spacca letteralmente le palle, pur servendo come un indemoniato, ci ha perso otto volte di fila. Dato che, come ogni attaccante, soffre in difesa, il Professore gli prende continuamente il tempo, attacca in chip and charge, gli sgonfia le palle tirando stracci e prendendo la rete, finché Giangi non impazzisce. Alla fine il nostro ha preso una decisione drastica. Non ci gioca più.

Il bello di questo gioco è che non ci sono molti trucchi: siete da soli davanti all’avversario, il vento c’è per entrambi, il sole in faccia pure, la terra appiccicaticcia anche. Il tennis è uno sport democratico, potete essere alti due metri, avere le migliori scarpe del mondo, la racchetta più potente, le corde più elastiche, perfino un braccio solo come il neozelandese Alex Hunt , ma solo una cosa conta e l’ha raccontata bene il saggio bracchetto Snoopy nelle strisce ideate da Charles Schultz: «Odio giocare contro il garage, perché la palla ti torna sempre indietro».

Già, perché ricordatevi che ogni tanto potete anche solo buttare la palla di là. E qualcosa succederà.
Massimiliano Mandrioli, detto Makiwa,: senza uno stile particolarmente raffinato, ha già conquistato i punti per passare in seconda categoria
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