Domani l’Australia giocherà la finale numero 49 di Davis. Con 28 insalatiere la formazione downunder è la seconda più titolata della storia. Merito di una Golden Age firmata tra gli altri da Rosewall, Laver, Emerson, Hoad, Newcombe, Roche e capitan Hopman

MALAGA – L’Australia e la Coppa Davis, una lunga storia d’amore (con più di qualche delusione negli anni recenti). “Down Under” hanno vinto la competizione 28 volte (solo gli Stati Uniti hanno fatto meglio con 32) e domani giocheranno la finale numero 49. Nel 1905 la prima partecipazione, due anni dopo il primo successo, quando la squadra guidata da Norman Brookes e Tony Wilding con l’aiuto in doppio di Arthur Gore e Herbert Roper Barrett superò sui campi erbosi di Worple Road per 3-2 la Gran Bretagna imponendosi in quella che fino al 1945 si chiamò International Lawn Tennis Challenge. Trascinata da Wilding, neozelandese a cui vengono attribuiti 123 tornei vinti, tra cui 4 Wimbledon, morto in guerra nel 1915, l’allora cosiddetta Australasia conquistò altre tre volte la competizione.

Nel secondo Dopoguerra il momento di maggiore splendore, con quindici successi tra il 1950 e il ‘67. E’ la generazione d’oro del tennis australiano, quella firmata dai ragazzi – i vari Sedgman, Rosewall, Hoad, Laver, Fraser, Emerson (recordman con otto trionfi), Newcombe, Roche – di Harry Hopman, ex buon giocatore (tre volte finalista all’Open di casa) e straordinario capitano, per due periodi – nel 1938-39 e poi dal 1950 al ‘69 – capace di conquistare sedici successi, favorito anche dal meccanismo del Challenge Round, che permetteva ai campioni in carica di disputare solo la finale. Favoloso in panchina, Hopman fu soprattutto un grande coach (“Geppetto”, lo soprannominò Gianni Clerici) capace di individuare talenti e giocatori potenzialmente forti, e di farli poi crescere e diventare campioni. Nel 1973 l’ultima recita della grande Australia – a Cleveland Newcombe e Laver distrussero gli Stati Uniti di Smith, Gorman e Van Dillen) prima del lento declino, contrassegnato da alcuni exploit, come quello del ‘77 contro gli azzurri di Pietrangeli, un 3-1 firmato da Alezander e Roche. L’ultimo trionfo è datato 2003, a Melbourne sull’amata erba contro la Spagna di Ferrero, Moya, Corretja e Feliciano Lopez, un 3-1 deciso da Hewitt e Philippoussis nei singolari, Arthurs e Woodbridge in doppio.

Recordman di match giocati (80), di vittorie totali (59) e in singolare (42) nella storia australiana della Davis, Hewitt è stato nominato capitano nel 2015, puntando sull’orgoglio e sulle sue qualità di motivatore e di indiscusso “fighter”. Finalista un anno fa – con De Minaur e Kokkinakis facilmente battuti in finale dal Canada di Augier-Aliassime e Shapovalov – l’Australia ci riprova domani, con una squadra guidata da Alex De Minaur (numero 12 Atp) coadiuvato in singolare da Alex Popyrin (40) e Jordan Thompson (56), più i forti doppisti Ebden e Purcell. Un team non certo eccezionale ma con la grinta e la capacità di lottare dei vecchi “aussie”. «Sono fiero dei miei giocatori – ha detto ieri Hewitt dopo la vittoria sulla Finlandia – giocare per la propria nazione è il sogno di ogni giocatore, e bisogna dare tutto. Si sente una tensione, una pressione, che è difficile da spiegare. E anche in finale ci faremo trovare pronti».