La fine è vicina (ma non smettiamo di sperare)

Le ultime prestazioni di Federer indicano che il tramonto ormai si sta mutando in sera. L'appuntamento a Wimbledon è una speranza vera o un'illusione? Non chiediamocelo con apprensione, ma viviamo alla giornata, come suggeriscono filosofi e saggi

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“La fine di tutte le cose è vicina”. No, nessuno scongiuro. Solo che mi sono venute in mente le parole dell’apostolo Pietro al vedere le ultime performances di Roger sul suo amato verde, ad Halle. In questo torneo tedesco che ha vinto per ben 10 volte – tanto che gli hanno dedicato una strada, la Roger-Federer-Allee – erano 20 anni esatti che non usciva prima della semifinale. E invece eccolo sconfitto al secondo turno, con una certa mestizia. Per quel che conta, tra l’altro, se non ci fosse stata la pandemia io sarei dovuto essere lì, sugli spalti…

Ormai non si tratta più di episodi. È evidente che al momento, anche dopo aver vinto un set, o due in caso di Slam, il Re può perdere con tanti tennisti, soprattutto top 20, molti dei quali potrebbero essere suoi figli. Mentre Nole, come ha mostrato abbondantemente al Roland Garros, anche dopo aver perso due set può vincere con tutti, senza quasi. Dunque, che fare? Sperare in un miracolo tra breve a Wimbledon, il glorioso giardino di Sua Semplicità e Immensità? In una vendetta della bruciante sconfitta nella finale del 2019, che avrebbe del prodigioso? Qui mi sovviene il pensiero di congedo di uno dei più grandi filosofi del ’900: “Ormai solo un dio ci può salvare”. Forse è così, tennisticamente parlando.

Istintivamente reagisco di pancia e di cuore, tornando indietro con la memoria al meriggio luminoso del Re a Church Road, nel 2006.

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“Fearsome”: temibile, spaventoso, tremendo. Sì, perché “ogni angelo è tremendo” (Rilke). E Roger in bianco lì era bello e potente come un angelo, sfacciato nella manifestazione di una bellezza impudica: classe, velocità, potenza, assenza di sforzo. Incaricato, come gli angeli biblici, cioè i messaggeri, di portarci una buona e bella notizia di gioia piena e quasi condivisa. Quasi, perché il suo regno era pressoché incontrastato, a fronte di due teneri virgulti come Rafa e Nole.

Ora però sono passati 15 anni, per lui come per ciascuno di noi. Tante cose sono cambiate. Esercizio utile: proviamo a riandare con la memoria alla nostra estate 2006… Roger stesso ha detto, dopo la sconfitta contro il giovinotto canadese Auger-Aliassime: “Ho iniziato a pensare negativo: non è da me. Ora devo guardare avanti e non prendere decisioni stupide”. Ci si avvia verso la fine, facendo discernimento, perché il tempo stringe. Lo fa lui, dobbiamo farlo pure noi. Leggo in molti commenti stupore, quasi sgomento, o frasi come: “Il suo prossimo obiettivo rimane comunque Wimbledon”. Constatazione di cronaca o pia illusione?

Basta, facciamo i conti con il suo congedo dai campi da tennis, non così lontano. Lo scrivo e mi prende il magone. Ma poi, pur a fatica, è ora di far prevalere il realismo. Come? Mentre Roger si allena, anche noi alleniamoci a prendere quel che verrà, infinitamente grati per quanto è stato. Infinitamente. “Vive in dies et et horas: nam proprium est nihil”: non so più dove ho letto questa frase. Parole auree nella loro semplicità: “Vivi alla giornata, anzi all’ora, perché nulla ci appartiene davvero”. Se poi, contro ogni logica, l’11 luglio saremo smentiti, davanti agli spalti per l’occasione pieni del Centre Court, tanto meglio. Sarà una fine gloriosa, cioè un nuovo inizio.

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