Darren Cahill ha raccontato le sue impressioni sul torneo di Sinner alla vigilia delle semifinali del Roland Garros, puntando forte anche su Lorenzo Musetti

Foto Ray Giubilo

Due chiacchiere con Darren Cahill alla vigilia della semifinale con Djokovic. «E’ eccitante – spiega il coach australiano – perchè si tratta di sfidare uno dei grandi. Se un mese fa mi aveste chiesto di firmare per la finale del Roland Garros, avrei detto: dove è che devo farlo? Quindi per noi è molto eccitante, e anche per Jannik è lo stesso».
Sullo stato di forma Cahill non vuole sbilanciarsi troppo. Almeno non in percentuale. «Gli mancano ancora piccoli dettagli, cose qui e lì, l’anticipo, la capacità di muoversi in fretta verso un angolo. Deve entrare nel ritmo della gara, recuperare automatismi, ma migliora ogni giorno. Non so se è già sufficiente per vincere qui, ma la cosa principale e non guardare troppo in là. Ogni turno la sfida diventa più tosta, e non ce n’è una più dura che affrontare Djokovic in semifinale».
Un match lungo chi può favorire? Il record al quinto di Jannik non è favoloso.«Jannik ha vinto 19 match di fila negli Slam, e lì ogni match potenzialmente va al quinto. A volte più che fatica fisica si tratta di fatica mentale, e Jannik è bravissimo a gestirla. Inoltre gioca un tipo di tennis molto fisico, e tre ore di tennis alla Sinner equivalgono a 5 ore per altri giocatori. Noi ci aspettiamo che sarà così fin dall’inizio, poi che cosa succederà lo vedremo, ma io ho molta fiducia nel mio giocatore. Djokovic? Lo conosciamo, ha vinto 24 Slam. E a giudicare da come ha giocato contro Zverev, è molto in forma, dannatamente pericoloso».

E’ vero che Jannik è di un altro pianeta, o la differenza con gli altri non è posi così grande? «Noi allenatori dobbiamo tenerlo con i piedi per terra. Sappiamo che può giocare ad alto livello, sono in pochi che possono batterlo. Ma se scende un po’ non solo lui ma tutti i top player possono trovarsi in difficoltà. Ci sono altri ottimi giocatori, Rune ad esempio, o Musetti, e davvero le cose possono cambiare in fretta nel tennis: se Bublik lo avesse breccato e vinto il secondo set, la partita si sarebbe riaperta. Ma se sai a mantenere quel livello per 4 o 5 ore, allora davvero diventi difficile da battere. Ecco perché Novak ha vinto 24 tornei del Grande Slam. Sì, puoi batterlo, ma hai più possibilità nei match al meglio dei tre set: è comunque difficile, ma almeno lì il livello di gioco richiesto è sostenibile per meno tempo. Invece nei match al meglio dei cinque, è ancora più dura, perché lui riesce a mantenere quel livello più a lungo di chiunque altro. È proprio questo il nostro obiettivo: arrivare a mantenere mentalmente, fisicamente e a livello di gioco, uno standard d’élite per quanto più tempo possibile. Certo, ci saranno giorni in cui non giocherà bene, ma anche in quei casi: se perdi, impari. Torni più forte e riparti. E’ un lavoro quotidiano. L’obiettivo è che lui resti concentrato su se stesso, senza montarsi la testa, e continui a fissare il proprio standard. Non si allena per competere contro Novak, Sascha o Carlos. Lui vuole diventare il miglior Sinner possibile».

Nel tennis di oggi conta più il lato mentale, quello tattico o quello fisico?
«La componente mentale, a questi livelli, è fondamentale. Tutti giocano bene. Se guardi ai primi 20 al mondo, ognuno di loro è capace di grandi prestazioni: chiunque può vincere in un determinato giorno. Ma i giocatori che sono forti mentalmente riescono a superare le difficoltà. Che si tratti di un fastidio fisico, di una piccola mancanza di fiducia, o di un problema durante il match, riescono a metterlo da parte e a vincere la partita grazie ad altri punti di forza. Sono questi i veri campioni. Negli ultimi anni, lui ha imparato proprio questo: non ogni giorno sarà perfetto, ma bisogna comunque trovare un modo per vincere. E ha fatto un ottimo lavoro da questo punto di vista»
Prima e dopo la sospensione: come è cambiato Jannik? «All’inizio era più nervoso, più agitato, si preoccupava di certi aspetti del suo gioco. Se un allenamento non andava bene, portava quella preoccupazione dentro la partita. Ora ha più fiducia, è più maturo, crede di più in sé stesso. Sa dove si trova il suo livello e se riesce a esprimerlo, è molto più sicuro di sé».

E’ più importante lavorare sui punti deboli o su quelli forti?
«Una cosa di cui parliamo spesso, noi allenatori, è che bisogna lavorare sull’80% dei propri punti di forza e sul 20% dei punti deboli. All’inizio è così, perché lavorare sui tuoi punti forti ti fa vincere e ti diverte. Ma quando arrivi tra i primi dieci al mondo, i migliori sono bravissimi a trovare le tue debolezze. Se hai un rovescio debole o transizioni mal gestite, loro le sfrutteranno. Per questo abbiamo lavorato tanto sulle sue aree più deboli, per farle diventare affidabili nei match importanti. È come uno sport di squadra. In casa, nel calcio, diciamo che si vincono i campionati con i giocatori peggiori, perché tutte le squadre hanno dei fuoriclasse, ma le migliori sanno approfittare delle debolezze altrui. Vale lo stesso nel tennis: se migliori le tue debolezze, arrivi al punto di non dovertene più preoccupare e puoi esprimere i tuoi punti di forza con fiducia. Simone Vagnozzi ha fatto un lavoro magnifico da questo punto di vista»

Che cosa ti ha sorpreso di più di Jannik, da quando lo conosci?
«La cosa che mi ha sorpreso di più, però, è stata la sua personalità. Non lo conoscevo bene prima di iniziare a lavorare con lui, ma ha un gran senso dell’umorismo. Non so se riuscite ad apprezzarlo, ma è un ragazzo incredibilmente divertente, molto umile, come i suoi genitori. Prende il tennis molto seriamente, ma sa anche divertirsi e godersi la vita. Capisce che il tennis è solo una parte della sua vita, che occupa una fase limitata, tra l’adolescenza e i trent’anni. Dopo ci saranno cose ancora più importanti. È per questo che, negli ultimi 12 mesi, ha gestito tutto così bene: riesce a mettere le cose in prospettiva.
Insomma, la sua maturità, a 23 anni, è ciò che mi ha colpito di più. Io non ero così a quell’età. Ha la testa a posto, è stato cresciuto benissimo dai suoi genitori e ha i piedi per terra. Sa godersi la vita, ma ha le giuste priorità».

Poi una parola sulle possibilità di Musetti contro Alcaraz: «Non mi sorprendono i suoi miglioramenti: se me lo avessi chiesto cinque anni fa, ti avrei detto che Lorenzo aveva un potenziale molto alto. E ora stiamo iniziando a vedere un Lorenzo più maturo, più completo, più realizzato. È il giocatore che ci aspettavamo da tempo, e ha ancora tanta carriera davanti. Mi aspetto molti altri momenti importanti da lui. E può vincere uno Slam, senza dubbio».
Infine, l’inevitabile confronto fra Alcaraz e Sinner: «Sono entusiasta della rivalità che ci sarà tra loro nei prossimi dieci anni. Il nostro compito, come allenatori di Jannik, è quello di farlo continuare a migliorare. Vogliamo che, ogni volta che entra in campo, che sia contro Carlos o chiunque altro, abbia sempre la miglior possibilità di vincere. E questo non cambierà mai».
Prima di lasciarci: è sempre deciso a lasciare a fine di quest’anno? O ci sono novità? «Nessuna novità», risponde con un sorriso.