La classe 2003 francese, numero 361 del mondo, è diventata la prima giocatrice con una wild card a raggiungere le semifinali del Roland Garros

Foto via X (@rolandgarros)

La faccia sporca di terra rossa, Lois Boisson alza le braccia al cielo sul centrale di Parigi. E’ la numero 361 del mondo, ha passato nove mesi fuori dai campi per un infortunio ai legamenti del ginocchio destro che poteva stroncarle la carriera, invece ha battuto – in due set 7-6(6) 6-3 – Mirra Andreeva, la numero 6 del mondo, ed è in semifinale al Roland Garros. Il suo primo Roland Garros, nel quale è entrata con una wild card e dal quale in ottavi aveva aveva sradicato la numero 3 Jessica Pegula. Nessuna giocatrice con una classifica del genere è mai arrivata così avanti in uno Slam da quando esiste il ranking mondiale – e probabilmente nemmeno prima. Sul braccio ha tatuata una parola – resilience – che dal Covid in poi abbiamo imparato a conoscere. Davanti alle sue emozioni evidenti ma normali, al suo sguardo attento ma un po’ sconcertato, quasi incredulo, viene da chiedersi quale sia il significato della sua, peraltro bellissima, storia. «I quarti sono una tappa», aveva detto dopo la vittoria sulla Pegula. «Vincere il Roland Garros un obiettivo».
Lo Chatrier impazzisce per lei, Yannick Noah è diventato un suo groupie, noi italiani fatichiamo a concederle attenzione, distratti come siamo dalle imprese di Sinner e Musetti, ma ‘La’ storia del Roland Garros di quest’anno è senz’altro la sua. Quella di una ragazza che non gioca un tennis di livello superiore, ma che possiede quel qualcosa che manda in crisi avversarie ben più dotate tecnicamente. La grinta, la voglia, la cazzimma. Il desiderio di rivincita. «Già all’età di otto anni, faceva i capricci sul campo», ha raccontato il suo primo maestro. «A volte lanciava la racchetta perché non riusciva a fare un colpo. Ma in realtà era perché era così perfezionista che non voleva sbagliare».
Per ridarsi una chance dopo l’infortunio le ha provate tutte, anche gli allenamenti con visori particolari per migliorare la coordinazione. «L’idea è quella di collegare direttamente percezione delle informazioni da parte del cervello all’occhio, in modo che la giocatrice non subisca più le informazioni», ha spiegato – o almeno ci ha provato – il suo preparatore fisico Sébastien Durand a L’Equipe. Certo, Lois ha un fisico tonico, allenato, e buoni cromosomi che le ha passato il padre cestista. Ma né i visori né le fibre muscolari riescono a spiegare quello che sta riuscendo a fare a Parigi. E che anche noi fatichiamo a decifrare, indecisi se applaudire un fenomeno di volontà, o alzare perplessi il sopracciglio nei confronti della sua blasonatissima concorrenza, e dei limiti di campionesse a cui forse manca il cuore di Lois l’Intrusa.