di Stefano Semeraro - 23 April 2021

In difesa dell'indifendibile Fognini

Ha sbagliato tanto, e anche male, in carriera. Ma ha il diritto di essere giudicato per quello che fa, non per quello che ha fatto in passato

A 33 anni poi sarebbe tempo di trattenersi comunque, evitando bestemmioni e oscenità varie: non si fa, non va bene, bisogna ribadirlo. Non credo che Fabio sia stato vittima di qualcuno, in questi anni, se non di se stesso, delle sue fragilità che gli fanno chiudere la vena nei momenti di tensione, o quando non si sente all’altezza di se stesso. E’ il primo a riconoscerlo, è il primo a saperlo. A differenza di altri peccatori seriali però è uno che in campo ha sempre dato quello che aveva - tanto o poco - che non si è mai nascosto dietro un conto in banca, o la scusa di avere meglio da fare. Ama il tennis, visceralmente, e il fatto che tanti dei suoi colleghi lo amino, al di là dei suoi innegabili limiti e difetti, qualcosa deve dirci. Credo soprattutto che anche il più seriale dei bad boys abbia diritto a essere giudicato in base a quello che ha fatto, non in base al proprio passato, a colpe ormai già scontate.

La squalifica di Barcellona è apparsa immediatamente esagerata, una pena inadeguata alla colpa, e Fabio ha fatto bene ad appellarsi. Se si troveranno le prove che ha mentito, che ha detto e fatto più di quanto ha dichiarato, vergogna ed esecrazione su di lui. Ma non mi sono mai piaciute le cacce all'uomo, il 'dagli all'untore', le ricerche del capro espiatorio, i tiri al bersaglio per il gusto di tirare e sentirsi migliori. Non condanniamolo a prescindere, per favore, «perché tanto Fognini è sempre lo stesso». Non solo per lui, ma per noi, per proteggere il nostro residuo, vacillante, incerto senso di giustizia.

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