In Davis scendevano in campo prima gli uomini, e poi i giocatori. Adesso ci tocca sentire Albert Costa e Galo Blanco parlare di trattative, di “colloqui” con i top-players per “vendere” la competizione. Ci rendiamo conto? L'evento che più di ogni altro sapeva dare una dimensione umana al nostro sport è diventato un prodotto da “vendere”, con l'ovvio scopo di fare business per cercare di ammortizzare un investimento miliardario. A volte anche gli scrittori più raffinati faticano a tramutare in parole l'enorme complessità delle emozioni umane. Men che meno, ci riesce chi scrive. E allora, per accompagnare questo triste giorno, sono più efficaci le parole di capitan Noah, coerente fino alla fine. A differenza di chi sta zitto o dice quello che gli viene detto di dire, in nome di una Santa Convenienza. “Qui si parla tanto di soldi, ma che prezzo può avere una la possibilità che un bambino venga allo stadio e possa dare la mano a Pouille? Che prezzo può avere un sogno? Questo non succederà a Singapore (?, ndr), ma so che lì c'è molto denaro. Sinceramente, spero che non chiamino Coppa Davis questa nuova competizione: sarebbe una bugia. Giocare al meglio dei tre set non è Coppa Davis, giocare in qualsiasi luogo non è Coppa Davis. Per me, il tennis finisce qui”. Mentre Noah e tutti quelli come lui escono di scena, altri che continueranno a farsi vedere, con le tasche gonfie e la pagnotta garantita, non faranno mai quello che dovrebbero: vergognarsi.
Ti potranno dire che non può esistere niente che non si tocca, o si conta, o si compra. Perché chi è deserto non vuole che qualcosa fiorisca in te.