Ivan Ljubicic parla delle condizioni di Sinner, delle difficoltà di ambientarsi a New York, delle possibilità di Jannik e degli altri italiani nel torneo

Ljubicic, prima di diventare coach di Federer, tecnico della Federazione francese e commentatore tv per Sky lei è stato numero 3 Atp: da giocatore avrebbe preferito sfidare Alcaraz o Sinner?
«Alcaraz. Sinner è il tipo di giocatore che mi avrebbe dato grande fastidio. Per me era importante poter far tanti punti con il servizio e che l’avversario mi regalasse qualcosina in risposta, e Sinner non ti lascia nulla. Comunque sarebbero stati dolori con entrambi…».
Il servizio è forse il colpo più perfettibile di Sinner: è ancora così decisivo?
«Ai tempi di Sampras, Stich, Kraijcek, Becker si vinceva molto con il servizio. Oggi che le palle sono più lente e i giocatori più veloci, hanno preso più importanza la risposta, l’esplosività, gli spostamenti. E’ l’evoluzione del tennis».
Jannik deve aumentare la percentuale delle prime palle?
«Diciamo che il 40 per cento di prime non può bastare a quei livelli, ma se spingi fortissimo, anche il 57, 60 va benissimo: se fai tanti punti con la prima. Se non fai male, invece, devi alzare la percentuale».
E’ un tennis sempre meno tattico e più istintivo?
«Si gioca sempre più veloce, e i tennisti sono sempre più completi. Una volta c’era molta tattica: giocagli così, fai più questo, più quello… Oggi contano intensità e velocità. Se rallenti gli altri ti ‘montano sopra’ come si dice in gergo, se usi troppo il back o le palle alte, sulle superfici veloci prendi la palla ‘in faccia’. Alcaraz ha tentato la soluzione di alzare la traiettoria sul rovescio di Sinner, ma quando ti arrivano missili a 180 all’ora, diventa tutto più difficile».
Dopo Cincinnati Jannik è tornato ad allenarsi: gli strascichi del virus possono condizionarlo a New York?
«Se in effetti sono stati solo due giorni, non c’è problema. Inoltre per lui la prima settimana è quasi un torneo a parte, è nella seconda che le cose si fanno più serie».
Il caldo umido è il suo tallone d’Achille? E’ una questione di preparazione
«Ci sono giocatori che non reggono il caldo o lo reggono peggio, la preparazione non conta niente. Se uno è nato in Florida reagisce diversamente rispetto a uno come Jannik, che è nato sulle Dolomiti. Anch’io facevo fatica, anche se mi allenavo tanto. Altri funzionano meglio la sera, altri non sopportano il caldo umido: devi cercare di gestire tutte le situazioni».
Gli Us Open sono lo Slam più duro?
«Sì, perché sono l’ultimo slam e i giocatori arrivano spremuti. Perché i rimbalzi sono regolari e il campo è veloce quindi fai fatica a variare, e diventa uno scontro più fisico che tecnico. Perché fa molto caldo, perché il pubblico è molto rumoroso, clima caldo umido… I migliori restano i migliori, però di sicuro fatichi ad arrivare in fondo più a New York che a Londra o a Parigi».
Ci sarà la ‘bella’ fra Sinner e Alcaraz dopo Parigi e Wimbledon?
«Piano. Bisogna vedere se Jannik recupera, poi come eventualmente arriveranno allo scontro diretto. Sulla terra è favorito Carlos, sull’erba Jannik, il cemento è la superficie dove partono più alla pari».
Per il secondo anno di fila potrebbero spartirsi tutti gli Slam: merito loro o demerito della concorrenza?
«Partirei dal merito loro, perché continuano a migliorare e gli altri non gli stanno dietro. Il primo dietro di loro è Zverev, poi si alternano Djokovic, Fritz, Ruud. Ma negli Slam, 3 set su 5 è difficile sorprenderli».
Un dominio assoluto.
«Per la concorrenza è un momento difficile. Se sei il terzo o quarto incomodo, devi guardarti anche alle spalle, altrimenti perdi il passo con chi ti insegue. Alcaraz e Sinner tengono il livello alto per tutta la stagione, gli altri non hanno la loro continuità. E’ capitato con Federer e Nadal, poi è spuntato Djokovic. Arriveranno altri, ma per ora è dominio».
Quanto contano i team in questo discorso?
«Tantissimo. Se parliamo dei top, vincerebbero l’80-90 per cento delle partite anche da soli, il team serve soprattutto nei momenti difficili. Bisogna anticipare le difficoltà prima che arrivino: questo è il valore enorme di un team. I più forti di momenti difficili ne hanno meno, ma quando arrivano diventano cruciali. A quel livello un consiglio, una giornata passata bene, una parola, una attenzione, possono valere uno slam. Mentre una giornata storta è una notizia mondiale».
Il caldo sta diventando un problema serio?
«Allora: a Cincinnati e agli Us Open ha sempre fatto caldo. In Australia magari è più un caldo secco, poi chiudono il tetto e diventa quasi uno Slam indoor, si soffre meno. In Usa si fa davvero fatica. Il tennis si gioca per il pubblico, ma il pubblico, che interesse ha a starsene al sole con 40 gradi e 80 per cento di umidità a vedere due giocatori che soffrono e non forniscono uno spettacolo all’altezza? Io non lo farei mai. Non capisco chi ci guadagna».
Rimedi?
«Quando giocavo io il torneo di Washington era una sofferenza enorme. Poi hanno spostato l’inizio dei match alle 16. Anche a Umago, a Doha è così. Capisco le esigenze delle tv, ma quello che conta è lo spettacolo. O dobbiamo aspettare che un giorno succeda qualcosa di grave?».
Cosa si rischia?
«Quello che la gente non può capire è la temperatura del terreno, il caldo che viene da sotto. Se ci sono 40°, in campo arrivano a 55°. Ti bruciano i piedi, diventa insostenibile».
Medvedev invece non vuole giocare alle 11: troppo presto.
«Si gioca quando ti mettono, anche per Federer era così. Però un conto sono le comodità, un conto è la salute».
Gli Us Open sono cruciali anche per decidere chi sarà numero 1 a fine anno.
«Jannik ora ha 2000 punti in meno nella Race: se vince Alcaraz gli Us Open diventa non impossibile, ma molto complicato andarlo a prendere. Se invece vince Jannik, con davanti la stagione indoor il favorito diventa lui. Ho visto che Carlos si è iscritto a tutti i tornei possibili, comprese Coppa Davis e Laver Cup. Ha sempre faticato fra Bercy e Torino, punta sui tornei prima».
Sinner in che cosa può migliorare ancora?
«E’ un tennista completo. Il servizio gli viene forse meno naturale e ne parla spesso, ma è già un buon servizio».
Qual è la chiave per disinnescare Alcaraz?
«A quei livelli devi spingere sempre, fare in modo che la partita sia sempre in mano tua. A Wimbledon, ad esempio, Jannik non ha mai permesso che Alcaraz usasse il diritto a sventaglio. Poi devi cercare di essere al massimo fisicamente e mentalmente. Tatticamente siamo ai dettagli: 2 per cento in più di prime, una posizione più avanzata o arretrata sulla risposta».
Gli altri italiani che chance hanno?
«Musetti ha perso il ritmo dopo Parigi, si è fatto male e non ha più trovato la condizione, ma è possibile che la trovi agli Us Open. Cobolli ormai è un top 20, molto forte, nessuno vuole giocarci contro, ma deve ancora costruirsi. Può arrivare alla seconda settimana ma non è scontata, diamogli tempo. Peccato per Berrettini: speriamo che trovi una soluzione, perché è un grandissimo giocatore».