Alla provocazione di Medvedev si aggiungono le dichiarazioni di Jessica Pegula. Sorge quindi spontaneo chiedersi: quanto i giocatori conoscono la loro professione?

Daniil Medvedev – 47 milioni di dollari guadagnati in carriera in montepremi – non vuole più alzarsi presto la mattina. «Ne ho parlato con il mio team: quando avrò 35 anni, potrei semplicemente boicottare i match alle 11 di mattina. Dirò, tipo: ‘Non vengo, mi ritiro. Non mi sono svegliato in tempo, scusate ragazzi’. Per me, le 11 del mattino sono troppo presto. Devi alzarti alle 6,30, mentre se giochi di sera puoi svegliarti alle 9. Questo cambia il tuo approccio alla partita. Mentalmente è pazzesco».
A Jessica Pegula – figlia di Terry, il cui patrimonio è stimato 7 miliardi di dollari, e che di suo in carriera di dollari ne ha guadagnati 12 milioni – invece, pare improvvisamente strano, dopo 150 anni di storia, che non sia possibile prevedere quando finisce un match di tennis. «Nei tornei del Grande Slam se sei in programma dopo una partita al meglio dei cinque set, e si arriva al quinto, sei fregato». Mettete insieme le due cose e provate a chiedervi: ma che cosa vogliono, i tennisti?
La risposta, forse malignetta, è semplice: continuare a guadagnare un sacco di soldi, magari anche di più, lavorando sempre meno. Intendiamoci: sul calendario troppo fitto di appuntamenti; sul formato allungato dei Masters 1000, sull’assurdità (relativa) di avere tre campionati del mondo a squadre; o sulla (apparentemente) bizzarra idea di programmare un evento milionario di doppio misto – leggasi: doppio misto – il giorno dopo la finale di un Masters 1000, si può serenamente discutere. E anche su certi orari di gioco – chi ha interesse a far iniziare un match all’una di notte di un giorno feriale – che penalizzano non solo i tennisti, ma anche il pubblico.
L’impressione sgradevole, però, è di trovarsi di fronte ad un attacco all’ultimo baluardo della tradizione: i cinque set nei tornei dello Slam. Che sono lunghi e imprevedibili, certo, ma ci hanno offerto le più memorabili partite della storia. Ah, ovviamente il tutto senza decurtazione dei montepremi.
Capita poi di leggere delle novità che la Espn ha introdotto per il super torneo di Misto degli Us Open a cui si accennava prima – avversato da alcuni tennisti, meno da altri. La più ‘invasiva’ è rappresentata dalle interviste in campo fra un set e l’altro, un po’ come facevano in altri tempi Minà e Galeazzi durante la vecchia Coppa Davis. Ed è molto istruttivo leggere quello che dice in proposito Linda Schultz, vicepresidente di Espn: «Quando ci avviciniamo a queste opportunità di accesso ai giocatori, lo facciamo con la speranza che funzionino anche in futuro. Si fa un passo avanti e, se funziona e avvicina i fan a ciò che sta accadendo, allora si vuole fare presto un altro passo avanti».
Tradotto: presto introdurremo questo approccio anche negli altri tabelloni. Ha ragione Richard Deisch, il collega del New York Times che ha commentato la notizia: per i network si tratta di uno show televisivo, prima che di un evento sportivo.
Schematizzando molto, forse troppo – è vero che pensando male si fa peccato, ma spesso ci si azzecca, come diceva Giulio Andreotti… – ecco il futuro del tennis che avanza: match che durino poco, iniziando tardi e finendo presto, inseriti in eventi spettacolari dove le tv avranno sempre più voce in capitolo (visto che sborsano i soldi). Con buona pace di chi si lamenta che i tennisti piangono sulla stagione troppo lunga solo per correre appena finisce a giocare le esibizioni. Se la tendenza è questa, non saranno le esibizioni a dare fastidio ai tornei, ma viceversa.