Un tennis da terraiolo, ma variegato e pieno di variazioni ha portato Luli a vincere il quarto titolo ATP

Contrariamente a un passato che vedeva nelle diversità stilistiche estrazioni australiane piuttosto che europee o statunitensi, il tennis di questo terzo millennio ha subìto tale e tanta omologazione da ritenere quanto mai azzardato rintracciare nella gestualità di un giocatore Denominazioni di Origine Protetta. Cosicché poco importa quanto di italiano o argentino ci sia nel gioco espresso da Luciano Darderi in quest’ultimo scorcio di stagione, quel che conta è che la versione ultimo grido di questo ragazzo sia ben lontana da quella corri e tira mostrata agli albori della sua meravigliosa carriera. Il nativo di Villa Gesell, deve aver ben preso capito che la sola spinta da dietro non soltanto non paga ma presenta conti salati in termini fisici e mentali.
Tutta questa filippica per giungere al Darderi di Bastad e Umago, due appuntamenti incamerati dall’italo argentino in rapida successione grazie ai grandi miglioramenti del rovescio ma soprattutto a un dritto tirato a lucido e a un drop shot che non sembra avere frontiere. Così come senza confini è la tenacia che fa di lui un giocatore di grandi qualità adattive, più incline al tennis variegato di Nalbandian che non a quello meno creativo di Coria. E se è vero che al suo attivo può vantare 4 titoli, tutti terraioli, è altrettanto vero che l’universalità del suo gioco può indurlo a possibili successi anche su altre superfici. Il cemento d’oltre Atlantico arriva proprio a fagiolo e non è detto che ulteriori conferme possano giungere a stretto giro di posta proprio dal continente americano.