L’azzurro affronta agli ottavi il tennista russo nel loro decimo scontro. Nel turno precedente Andrey ha beneficiato del ritiro del francese Fils

Foto di Ray Giubilo

Dopo la prestazione stellare di Sinner contro Lehecka, ci si chiede cosa mai potrà inventarsi Andrey Rublev per impensierire il n. 1 del mondo. Il 27enne di Mosca, ex n.5 ATP e ora n. 15, nonostante le indiscusse doti da combattente e l’affinità col rosso, non sembra avere armi sufficientemente affilate per contrastare il tennis micidiale di Jannik.

L’azzurro è in vantaggio 6-3 negli scontri diretti e, nelle sei partite vinte (quattro sul duro e due sulla terra), ha concesso solo due set: nel 2024 a Cincinnati (l’ultimo dei nove precedenti) e nel 2022 a Montecarlo. Delle tre vittorie del russo, due sono avvenute per ritiro di Jannik (a Vienna, nel 2020 e al Roland Garros, nel 2022). L’unica vittoria “completa” è dunque quella dell’anno scorso nei quarti di finale in Canada, in cui Andrey si è imposto in tre set.

Il palmares di Rublev conta 17 titoli; i più prestigiosi sono i ‘1000’ di Montecarlo (2023) e Madrid (2024); vi figurano inoltre sei trofei ‘500’ (Amburgo, San Pietroburgo, Vienna, Rotterdam, Dubai e Doha). Il moscovita disputa altre undici finali, in particolare quattro nei Masters 1000 (Montecarlo, Cincinnati, Shanghai e Montréal) e cinque negli ATP ‘500’. Raggiunge la semifinale alle ATP Finals nel 2022 e, insieme a Medvedev, Khachanov, Karatsev e Donskoy, nel 2021 conquista la Coppa Davis nella finale con la Croazia.

Il suo miglior piazzamento negli Slam sono i quarti di finale, raggiunti in tutti e quattro i major e almeno una volta all’anno dal 2020 al 2024, range nel quale rimane stabile nella top 10. Nella scorsa stagione, inoltre, Andrey è stato l’unico giocatore capace di regalarsi entrambi gli scalpi di Sinner (come detto, in Canada) e Alcaraz (a Madrid). Eppure, proprio l’anno scorso, ha conosciuto il periodo più buio.

La depressione, una brutta bestia. In una lunga intervista al quotidiano britannico The Guardian dello scorso gennaio, il russo ha raccontato la sua battaglia contro la malattia, all’origine di quegli sfoghi rabbiosi in campo in cui era in totale balìa di frustrazione ed ira. Le sfuriate a volte sfociavano persino nell’autolesionismo, come a Parigi-Bercy, dove Rublev si era colpito violentemente più volte le ginocchia fino a sanguinare. “L’anno scorso ho vissuto il periodo peggiore” ha dichiarato Andrey, “non si trattava del tennis ma di me stesso; a volte pensavo che non ci fosse più ragione di vivere. Certi pensieri mi stavano uccidendo, mi provocavano molta ansia e non riuscivo più a gestire la situazione. Dopo Wimbledon (sconfitto al primo turno, ndr), assumevo antidepressivi ma non mi aiutavano affatto; decisi allora che non gli avrei presi più”. Fondamentale, per la ripresa di Rublev, anche l’amicizia con Marat Safin, grande idolo dell’Andrey bambino e ora suo consulente, accanto allo storico coach Fernando Vicente: “Safin mi ha aiutato a rendermi conto di tante cose e ho cominciato a lavorare con uno psicologo. Ho imparato molto di me stesso e ora, anche se in alcuni momenti mi sento insoddisfatto, non provo più quell’ansia folle di non saper cosa fare della mia vita. Ora mi sento meglio”.

C’è da dire che i vari dérapages di cui si è reso protagonista il russo l’anno passato, non collimano affatto con la sua natura dolce e affabile. Sì perché, fuori dal campo, Andrey è tra i ragazzi più amati del tour; scherzoso, amichevole ed empatico, il russo spicca per la sua indole generosa e pacifica; celebre la sua presa di posizione contro la guerra all’indomani dell’invasione russa in Ucraina con quel suo “No war, please” scritto sulla telecamera dopo un match a Dubai. E poi l’empatia e la generosità nei confronti dei più deboli, in particolare i bambini. Grazie alla sua “Andrey Rublev Foundation”, inaugurata nel 2024, il moscovita si impegna attivamente a raccogliere fondi a favore di strutture pediatriche in vari paesi del mondo, tra le quali figura anche l’Ospedale Bambin Gesù di Roma. Non per niente Daniil Medvedev, suo grande amico sin dall’infanzia, lo ha voluto come padrino della sua primogenita Alisa.

La ritrovata serenità porta i suoi frutti poiché, con pazienza, Rublev conquista a Doha il primo sigillo del 2025, vittorioso in finale con Draper; poi giunge in finale ad Amburgo, superato da Fabio Cobolli. Ricordiamo, inoltre, la semifinale a Montpellier e i quarti a Rotterdam. A Porte d’Auteuil, dopo aver superato i primi due turni, beneficia del ritiro del francese Fils che lo mette dunque al cospetto di Sinner. Il n. 1 del mondo ha sfoggiato con Lehecka una prestazione travolgente, perfetta sotto ogni punto di vista, per cui il martellamento forsennato da fondo che caratterizza Rublev non sembra in grado di scalfirne il tennis granitico; anzi, non può che incrementarne il ritmo. Anche se il russo corre come una gazzella, Jannik è maestro nello scovare gli angoli più improbabili, senza contare l’uso machiavellico di smorzate e variazioni. E che dire della poker face alla Sinner? Forse l’ostacolo più alto per Andrey…