Toni Nadal: “è la mia ultima stagione con Rafael”

Lo zio-coach ci conferma che dall’anno prossimo lavorerà solo nell’Accademia di Manacor, dove vorrebbe occuparsi della formazione dei giovani. A fianco del nipote dovrebbero restare Francisco Roig e Carlos Moya (“Se Rafael non vorrà inserire qualcun altro nel team”). E poi parla dei giovani talenti, del cambio delle regole e di molto altro...

BUDAPEST - Me lo dice con viva tranquillità, seduto su una comoda poltrona nel ristorante Vip del torneo Challenger di Budapest, che ospita anche un convegno della Global Professional Tennis Coaching Association: “Dall’anno prossimo non seguirò più Rafael nel circuito, ma mi dedicherò esclusivamente alla nostra accademia. Voglio occuparmi della formazione di giovani talenti, il momento più delicato nella crescita di un atleta. Il rapporto con mio nipote è sempre ottimo, in tutti questi anni non abbiamo mai vissuto periodi di crisi. Però fino ai 17 anni decidevo tutto io, poi è arrivato Carlos Costa come manager, si è avvicinato il padre, ognuno con le loro opinioni. E la verità è che ogni anno io decido sempre meno, fino al punto in cui non deciderò più niente! Ho viaggiato con Rafa per tanti anni, ora voglio tornare ad occuparmi della formazione dei giovani e la nostra accademia è il luogo ideale”. Boom. Sono solamente 28 anni, da quando il piccolo Rafa prese in mano una racchetta a tre anni che i due hanno vissuto in una sorta di simbiosi tennistica. Vero, già da qualche anno Toni non partecipava alla trasferta americana di marzo (non lo farà anche quest’anno) o a quella asiatica di ottobre, ma pensare di vedere Rafa in campo a Roland Garros senza suo zio in tribuna suona parecchio strano. Eppure è così, come confermato dal diretto interessato. Però nel frattempo c’è ancora un’intera stagione da giocare e traguardi da raggiungere:
 
Toni, saresti sorpreso di vedere Rafael vincere uno Slam quest’anno?
Per niente. Se non si fosse fatto male a Madrid, penso che già l’anno scorso avrebbe avuto le sue chance a Roland Garros. Però non sarei sorpreso nemmeno se non ci riuscisse perché avere delle possibilità non vuol dire riuscire a concretizzarle.
 
Come nel quinto set della finale dell’Australian Open: a quel punto pensavi che Rafael avesse la partita in mano.
Assolutamente no. Anzi, faticava a tenere i suoi turni di battuta e quindi temevo che un break potesse subirlo. C’era molto equilibrio ed entrambi avrebbero potuto vincere.
 
In condizioni che hai definito favorevoli a Federer.
Il campo non era così rapido come si diceva, però la palla tendeva a scivolare via, piuttosto che ad alzarsi e questo non favoriva di certo lo spin di Rafael ma più il gioco d’incontro di Federer. Però devi essere in grado di giocare certi colpi e Federer c’è riuscito perché è un fuoriclasse.
 
Una delle chiavi si dice sia stato Ivan Ljubicic, coach di Federer, che gli ha ripetuto: “Play with the ball, not with Nadal”. Come se Federer dovesse convincersi di non giocare contro Rafael col quale aveva perso due volte su tre.
Mah, tutte le teorie sono buone quando vinci. Io posso dire a Rafa che non sta giocando contro Federer o Djokovic ma non credo che riuscirei a convincerlo! E’ vero che Federer ha attuato una tattica ben precisa, che peraltro aveva già mostrato contro Berdych e Nishikori per esempio, cioè quella di spingere dall’inizio alla fine su ogni palla possibile, e ripeto possibile, non come fanno altri giocatori, anche a rischio di sbagliare tanto. E infatti, tecnicamente non credo sia stato un gran match, con più errori che colpi vincenti.
 
Più spettacolare la semifinale con Grigor Dimitrov?
A me piace il tennis quando vedo tanti scambi e con Dimitrov è stato un match fantastico sotto questo aspetto, c’era qualità e quantità.
 
Ma quando Federer è venuto per l’inaugurazione della vostra Accademia e né lui né Rafa potevano giocare, avresti mai pensato che sarebbero arrivati a giocarsi una finale Slam già in Australia?
No, in quel momento l’obiettivo mi sembrava molto lontano ma ho sempre avuto fiducia che Rafael potesse tornare a giocare una finale Slam.
 
La finale australiana ha ridato fiducia a Rafael?
Nel tennis la fiducia va e viene. Quando giochi bene nei sei pieno, appena perdi un paio di match, scappa via. Rafael in un mese ha battuto Raonic, Dimitrov, Monfils, Zverev, quindi vuol dire che è tornato a giocare bene a tennis. Adesso si tratta di continuare su questa strada.
Ti ha sorpreso il livello di gioco di Federer nella finale dell’Australian Open?
Sì, mi ha sorpreso perché ho visto le prime partite e non giocava granché bene. Però con Berdych il livello è salito tantissimo e ha ritrovato il suo miglior tennis, su una superficie che gli era pienamente congeniale, sulla quale poteva attaccare costantemente. Lui è un fuoriclasse e l’ha dimostrato ancora una volta.
 
Che apporto ha dato Carlos Moya, entrato quest’anno nel team tecnico di Rafael?
Lo ha aiutato nel restare più tranquillo, nell’avere la giusta convinzione in quello che stava facendo: avere diverse opinioni talvolta può aiutare. Credo che Carlos sia importante.
 
Due aspetti che sono cambiati in Rafael: una racchetta più pesante e un corpo più leggero, tanto che si dice abbia perso due chili ma essere più scattante, seppur meno potente.
Su quest’ultima cosa non ho idea, sulla racchetta è tutto vero. Volevamo che Rafael potesse colpire la palla più forte. Mesi fa abbiamo provato a cambiare corda: sin dal principio non mi era sembrata una buona idea ma Rafael aveva insistito, con risultati mediocri. Questa volta, aggiungendo un po’ di peso in testa, siamo riusciti a fargli ritrovare un po’ di quella potenza che ha perso nel dritto, quando deve tirare un winner. Ma alla fine chi comanda è la testa, il resto aiuta ma non è determinante. Il peso sulla racchetta, Moya, va tutto bene, ma se la testa non funziona, niente ti può aiutare.
 
Qual è stato il momento peggiore per Rafael?
Nel 2015 la testa funzionava male perché aveva troppi problemi fisici e aveva perso fiducia nel suo corpo. Quando ha recuperato il fisico, è cambiata anche la sua attitudine ed è tornato ad essere un giocatore mentalmente forte. Ora fisicamente sta bene.
 
Se però dovessimo paragonarlo al Rafael Nadal che aveva 21 o 22 anni?
Impossibile perché ci sono inevitabilmente cose che si perdono e altre che si guadagnano. Credo che abbia migliorato il servizio e il rovescio ma anche che sia peggiorato di dritto o comunque prima con questo colpo raggiungeva un’intensità più alta nello scambio. Prima era anche più esplosivo, ma è normale e vale per tutti. Per lui, per Federer...
 
Rafael è un grande tifoso del Real Madrid, squadra che ha vissuto come un’ossessione La Decima, cioè la decima vittoria in Champions League. Adesso è il turno di tuo nipote, fermo a nove successi a Roland Garros: è quello l’obiettivo stagionale?
Il mio obiettivo è che Rafael torni a essere il numero uno del mondo su terra battuta e quindi vincere Roland Garros sarebbe perfetto!
 
Però, a parte Federer, non bisogna dimenticarsi di Djokovic e Murray. Hanno perso una partita e molti sembra se li siano dimenticati.
Djokovic ha dimostrato che quando gioca al massimo è il più completo di tutti perché attacca, difende, lotta e quando è al top è quasi imbattibile. Sicuramente tornerà a grandi livelli, un calo dopo tanti anni è normale. Sono state due sconfitte sorprendenti ma sono certo che nei prossimi mesi li rivedremo lottare per vincere i titoli più importanti.
 
Mentre i giovani talenti sembrano fare più fatica.
Zverev può arrivare molto in alto, ma questa loro difficoltà indica un altro aspetto, cioè che l’allenamento è nettamente peggiorato negli ultimi anni. Ecco perché i giovani faticano a imporsi. Quando siamo arrivati nel circuito, i più forti erano Federer, Coria, Nalbandian, Roddick, Ferrero, Safin, tutti giocatori che avevano tra i 21 e i 24 anni; adesso tutti i top players hanno più di 30 anni. Cosa significa questo? Che l’apprendistato dei giovani è stato fatto male e non ha loro consentito di arrivare al vertice così rapidamente.
 
Quindi non è merito dei giocatori più esperti.
No, è soprattutto colpa dei giovani che sono meno preparati, e quindi anche dei loro allenatori. Un tempo non c’erano solo giovani fenomeni: anche i giocatori di livello un po’ inferiore, come Tommy Robredo per esempio, a 18-19 anni già riuscivano a competere a livello molto alto. Ora non è più così.
Rafael è fidanzato da tantissimi anni, Federer è sposato con quattro figli dopo un lungo fidanzamento come Djokovic e Murray: avere una situazione sentimentale stabile aiuta?
Nel tennis conta solo il tennis. Non credo che la fidanzata abbia fatto vincere una sola partita a Rafael. Al massimo lo può rendere felice fuori dal campo, ma tanti giocatori hanno cambiato fidanzata e le cose sono andate anche meglio. Certo, avere una vita serena e tranquilla aiuta, però adesso ci manca solo di pensare che una fidanzata possa far vincere una partita.
 
Rafael si sta riprendendo sui suoi livelli, mentre lo stesso non si può dire del tennis spagnolo perché sembrano mancare i ricambi: come lo spieghi?
Ci sono diverse ragioni: credo che principalmente l’insegnamento e l’allenamento non siano più stati di alto livello e i giocatori non sono cresciuti di conseguenza. Ora bisogna lavorare duro per recuperare la posizione di potenza nel mondo del tennis che abbiamo perduto. E speriamo che la nostra accademia possa aiutare.
 
Pare che ATP e ITF vogliano introdurre nuove regole e si discute in particolare su queste quattro: no-ad (punto secco sul 40 pari), no-let (se la palla colpisce il nastro col servizio e resta in campo, è valida), match al meglio dei cinque set ma ogni set finisce ai quattro game, e super tie-break ai 10 punti al posto del set decisivo: sei favorevole a qualcuna di queste proposte?
Sono tutte discussioni inutili. Forse il no-ad potrebbe aiutare, ma mi pare l’unica idea sensata. Però chi deve decidere non mi sembra che pensi molto a quello che sta facendo. Il pensiero dovrebbe essere: che tipo di tennis voglio vedere? In base alla risposta, cambio le regole. Invece si sta facendo il contrario. Faccio l’esempio del calcio: c’è stato un periodo, e voi italiani col catenaccio ve lo ricordate bene, in cui si passava gran parte del tempo a difendersi, passare la palla al portiere, perdere tempo... In sostanza, c’era poco spettacolo. Cosa si è fatto: tre cose, si è eliminato il passaggio al portiere, sono stati introdotti i tre punti per la vittoria per spingere le squadre ad attaccare e chiesto agli arbitri di usare più rapidamente i cartellini gialli per evitare che giocatori come Messi finissero scalciati continuamente, come accadeva a Maradona ai suoi tempi. Il no-let, i set ai quattro, sono soluzioni che renderebbero il gioco più tonto. A me piace il tennis quando si vede che dietro uno scambio c’è un pensiero, non dove si tirano due pallate e vada come vada.
 
Su cosa si dovrebbe intervenire?
Principalmente sulle palle. In tanti paesi come Spagna, Francia, Germania, Svezia, si stanno perdendo praticanti perché il tennis sta diventando uno sport troppo rapido e meno divertente, proprio perché lo scambio finisce presto. Invece ci vorrebbe maggior divertimento. E un punto è divertente quando c’è uno scambio di 6-7 colpi. Però sembra che i dirigenti la pensino diversamente.
 
Quindi cosa proporresti?
Palle più lente, più soft e che dovrebbero obbligare a colpire più spesso da sotto il livello della rete: così ci sarebbero più schemi, più soluzioni, più tattiche di gioco. Vuoi giocare un winner: devi anticipare una palla più corta e scendere a rete perché non basterebbe più tirare una cannonata di servizio o di dritto. E lo dico contro l’interesse di Rafael perché palle decisamente più soffici non favorirebbero di certo il suo spin, mentre Federer con la sua tecnica sarebbe comunque in grado di trovare soluzioni vincenti. Ma con maggior spettacolo generale. Alla IPTL chi era il giocatore più applaudito? Fabrice Santoro, perché giocava un taglio di qui, una smorzata di là, poi un lob, un contropiede... Uno spettatore che vede giocatori che sparano tutto, come si diverte? E un tizio di 35 anni che vuole imparare, come può riuscirci con il gioco che va sempre più veloce? Non pretendo che si cambi da un giorno all’altro ma bisogna cominciare a porre delle basi.
 
Una curiosità: ma perché con uno zio capitano del Barcellona, Rafael ha finito col tifare Real Madrid?
Perché suo padre è tifoso del Real, a parte il periodo in cui nostro fratello Miguel Angel giocava nel Barcellona. Mentre io sono sempre stato del Barca. Comunque, Rafael è molto appassionato di calcio ma ci capisce poco, e non vuole ammettere che Messi e il Barcellona sono i più forti (ride).

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