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Riccardo Bisti
26 November 2018

Tutto quello che non vedremo mai più

Massima espressione di contatto tra tennis e società, la Coppa Davis ha spesso regalato episodi e situazioni ai limiti del grottesco. Piccole grandi favole che l'avevano resa mitica. Dallo Yom Kippur ai campi in vetro, passando per il «nonno» e il «baby», ecco quello che probabilmente non vedremo mai più.
Le lacrime disperate di Lucas Pouille, unite a quelle del suo capitano Yannick Noah, sono l'immagine-simbolo (ancora più dei festeggiamenti dei croati) della morte della Coppa Davis. Il 25 novembre 2018, una delle più antiche competizioni nella storia dello sport ha spirato per lasciare spazio alla nuova competizione lanciata dal Gruppo Kosmos e approvata da oltre il 70% delle federazioni mondiali. Dal 2019 non sarà più lo stesso. E non avremo più la possibilità di assistere a episodi e situazioni surreali, a tratti drammatiche, a tratti commoventi, che hanno bagnato la storia della manifestazione. Nel giorno in cui tutto finisce, vale la pena ricordare alcuni episodi che hanno contribuito a generare il folklore e il mito attorno alla vecchia Insalatiera.
LO YOM KIPPUR DI GILAD BLOOM
Nel 1992, la Svizzera di Marc Rosset e Jakob Hlasek aveva raggiunto la finale. L'anno dopo, si è trovata a giocare uno spareggio contro Israele a Ramat Hasharon, sobborgo a nord di Tel Aviv. Avversari: Amos Mansdorf e Gilad Bloom. «Amos faceva i miracoli, mentre io di solito battevo solo i giocatori alla mia portata» ricorda Bloom, che oggi fa l'insegnante di tennis a New York. Poiché il weekend avrebbe coinciso con l'inizio dello Yom Kippur, il giorno dell'espiazione e più importante festività del calendario ebraico, si anticipò il match al giovedì. Al sabato, i singolari furono fatti iniziare alle 8 del mattino per evitare che si giocasse fino al calar delle tenebre. Sul punteggio di 2-1 per la Svizzera, Mansdorf e Rosset furono costretti ad alzarsi alle 5 del mattino. Vinse l'israeliano in cinque set. A quel punto, la TV israeliana abbandonò l'impianto: se non avessero smantellato le attrezzature, non avrebbero fatto in tempo ad essere a casa per l'inizio dello Yom Kippur. Allo stesso tempo, l'altoparlante invitò il pubblico che abitava distante da Ramat Hasharon a tornare a casa. Per garantire una buona atmosfera, tuttavia, coinvolsero i residenti. Circa 2.000 persone affollarono il piccolo stadio: tra loro, molti che non avevano mai visto tennis dal vivo e che probabilmente non lo avrebbero mai rivisto. «C'erano parecchie persone che conoscevo, perché sono cresciuto in quel quartiere» ricorda Bloom. Davanti a un pubblico indemoniato, di stampo calcistico, l'israeliano giocò la partita della vita contro Hlasek, che pure gli stava davanti di 100 posizioni. Sul 6-1 6-1 4-3 e 40-15, tuttavia, iniziò a piovere. «Mi ritrovai nello spogliatoio, calcolando quanto tempo avremmo ancora potuto giocare». Per sua fortuna, la pausa fu di breve durata. Su un campo in terra umidiccia, Hlasek non aveva più energia e si arrese. Invasione di pubblico, Bloom portato in trionfo. Delirio. "È stato il momento più bello della mia carriera. E ve lo dice uno che ha battuto Sampras a Wimbledon". Tornato a casa, Bloom avrebbe dormito per 24 ore di fila a causa della tensione accumulata. Per lui, dunque, non fu difficile rispettare il digiuno imposto dallo Yom Kippur. «Per questa storia, Rosset non mi ha rivolto la parola per due anni». A causa degli aeroporti bloccati per 24 ore, gli svizzeri ebbero anche la beffa di non poter lasciare immediatamente il paese. Non rivedremo mai più qualcosa del genere perché la nuova Davis si giocherà a novembre, quindi ben distante dal periodo dello Yom Kippur.
IL TOGOLESE DI 59 ANNI
Quelli di Mauritius l'avevano fatta un po' sporca. Sapevano che Komlavi Loglo, miglior giocatore del Togo, avrebbe dovuto abbandonare il Rose Hill Club, situato sulle rive dell'Oceano Indiano, perché nel maggio 2001 avrebbe dovuto giocare la prova junior del Roland Garros. Collocarono i match al pomeriggio, costringendolo a saltare il doppio di spareggio di Mauritius-Togo perché non poteva perdere l'aereo. Visto che il Togo non ha esattamente una panchina lunga, a scendere in campo fu il capitano Yaka Garonfin Koptigan, 59 anni. «Non si difendeva male, aveva buoni riflessi, ma si vedeva che non aveva nessuna conoscenza della terra battuta» disse William Desvaux, uno degli avversari. Koptigan faceva il bibliotecario, aveva iniziato a giocare a 29 anni e dodici mesi dopo era già il più forte del suo paese. Lo sarebbe rimasto a lungo, ma non conobbe mai la terra battuta perché il suo paese non poteva permettersi di costruire e mantenere un campo in polvere di mattone. Gli avversari evitarono di umiliarlo, ma si comportarono con professionalità. E vinsero nettamente. Difficilmente rivedremo una scena del genere perché, con i nuovi proventi garantiti da Kosmos, le federazioni più piccole dovrebbero avere più risorse per presentare squadre con più elementi, e magari potranno costruire campi in terra rossa migliori rispetto a quelli che si vedono in Uganda, in cui non c'erano le righe e – in occasione di una tornata di Coppa Davis – un ragazzo le ricreava con il gesso a ogni cambio di campo. Potrebbe essere l'unico effetto benefico della riforma, a patto che i soldi arrivino e finiscano nelle mani giuste.
IL SAMMARINESE DI 13 ANNI
Giusto qualche decina di spettatori, quei pochi che preferivano il tennis al calcio, ha assistito all'esordio di Marco De Rossi. Correva l'anno 2011 e San Marino, lo stato più piccolo d'Europa, decise di dare una chance a un ragazzo che si disimpegnava bene con i migliori coetanei europei. Le regole, tuttavia, vietano di giocare a chi non abbia già compiuto 14 anni. La federtennis sammarinese mandò la richiesta all'ITF 3-4 settimane prima, forte del fatto che avrebbe compiuto 14 anni a breve e che comunque avrebbe «fatto fede» l'anno in corso. L'ITF lasciò perdere e gli consentì di scendere in campo, a 13 anni e 319 giorni, contro il giocatore di Andorra Jean Baptiste Poux-Gautier. «Marco era piccolo, non aveva la potenza necessaria» racconta il vincitore, che si impose 6-1 6-0. L'anno dopo, si sarebbe nuovamente imposto 6-2 6-1. «Posso dire di averlo visto crescere» ha scherzato. De Rossi ha ricordato che a San Marino non è inusuale lanciare in nazionale ragazzi giovanissimi : «Era già successo nel basket e nel calcio, quindi non è stata una grande sorpresa». Vista la grande rilevanza data al caso (ne parlò addirittura il New York Times), molto difficilmente ci saranno ulteriori deroghe. San Marino, tra l'altro, detiene anche il record per il giocatore più anziano. Si tratta di Vittorio Pellandra, uomo d'affari in pensione che aveva 66 anni quando entrò al posto di un giocatore, vittima di un colpo di calore. Dopo 3 game si ritirò per un infortunio alla caviglia. «Fu un peccato, perché eravamo in diretta TV. Ma credo che il moi record durerà a lungo».
TENNIS NELL'HANGAR DI UN AEROPORTO
Il bello della Davis è che ha portato il tennis nei luoghi più improbabili e per questo affascinanti. L'Austria ha una discreta tradizione, ma pochi luoghi adatti. E quando scoprono di dover ospitare un incontro, quasi tutti gli impianti del paese sono già occupati. Per questo, nel 1990 ospitarono gli Stati Uniti dentro il mitico Prater di Vienna. Quattro anni dopo, costruirono un tendone provvisorio in grado di accogliere 11.000 spettatori per sfidare la Germania. Nel 2011, in occasione del primo turno contro la Francia, Ronnie Leitgeb ebbe un'intuizione: perché non sfruttare un hangar dell'aeroporto di Vienna ? Forte dei buoni rapporti con Niki Lauda, presidente della compagnia aerea che ha sede proprio nell'aeroporto, ottenne l'OK. Una volta liberato dagli aerei, l'hangar apparve con un padiglione perfetto. Ma se i giocatori avevano accesso libero, gli spettatori dovevano passare i controlli di sicurezza come se dovessero prendere l'aereo. Fu un'esperienza surreale, perché durante i match si sentiva il rumore di decolli e atterraggi. «Ma mai come accadeva allo Us Open» ricorda Stefan Koubek, che in quei giorni giocò la sua ultima partita con l'Austria. Va detto che l'intervento di David Dinkins, ex sindaco di New York, eliminò il problema con un'ordinanza che impose agli aerei di cambiare rotta per non disturbare il tennis. A Vienna, invece, faceva freddo, e i giocatori subirono l'anomalia di dover passare all'aria aperta per accedere gli spogliatoi, dei prefabbricati che si trovavano al di fuori dell'hangar. Non vedremo mai più nulla di simile perché i nuovi turni di qualificazione dureranno solo due giorni, dunque non giustificheranno più l'investimento per affittare una location del genere. Nel 2011, l'hangar fu «occupato» per due settimane. Tale principio vale per tutto il mondo: aspettiamoci di assistere a tanti match in banali sedi già note, o magari in tennis club. Gli incontri perderanno buona parte delle loro potenzialità di guadagno, di conseguenza, nessuno vorrà rischiare una sede anomala.
Stan Smith regala gli USA la Davis del 1972
GLI AMERICANI « BLINDATI » IN ROMANIA
Il 13 ottobre 1972, a Bucarest, c'era gente armata dappertutto. Soltanto un mese prima, i terroristi di «Settembre Nero» avevano fatto una carneficina di atleti israeliani alle Olimpiadi di Monaco di Baviera. Il loro nuovo obiettivo era il team americano di Coppa Davis, perché al suo interno c'erano due giocatori di origine ebraica (Harold Solomon e Brian Gottfried). «Non eravamo spaventati, perché a quell'età sei soprattutto incosciente – ricorda Gottfried – oggi ci sarebbe una sicurezza dieci volte maggiore». La polizia si posizionò anche sul tetto dell'hotel che ospitava gli americani, i quali stazionavano in un isolato 17esimo piano, con il divieto di uscire. Tuttavia, Gottfried e Solomon idearono uno stratagemma: uscirono insieme e poi corsero in direzioni opposte, in modo da seminare le loro guardie del corpo. «A 21 anni ti senti invincibile». Sul campo, vinsero grazie alla straordinaria solidità mentale di Stan Smith, bravo a battere i rumeni nonostante l'osceno comportamento dei giudici di linea, i quali perpetrarono decine di furti a danno degli americani. Visto il clima, non ci furono scene di giubilo sul campo, giusto un po' di champagne in hotel. Negli Stati Uniti non ci furono particolari reazioni : d'altra parte, il governo Nixon si stava riavvicinando alla Romania di Ceaucescu e non c'erano ragioni politiche per esaltare l'impresa. Tra l'altro, il match non fu neanche trasmesso in TV «Perché la Davis non era importante come oggi». Difficilmente rivedremo scene del genere, perché il rapporto tra politica e sport sta sfumando. L'ultimo episodio degno di nota risale al 2009, quando Svezia-Israele si giocò a porte chiuse alla Baltic Hall di Malmoe perché la città era invasa di attivisti che protestavano contro le politiche israeliane nella Striscia di Gaza. Con le fasi finali in un unico luogo, è molto difficile che manifestanti di questo genere viaggino per avere visibilità.
Il mito del Paraguay di Pecci e Gonzalez
PAVIMENTO VETRIFICATO
Gli anni 80 sono stati un periodo ruggente per il Paraguay del tennis. Forti di Victor Pecci (finalista al Roland Garros e poi diventato Ministro dello Sport) e un buon giocatore come Francisco Gonzalez, si sono tolti belle soddisfazioni. Giocare in Paraguay era già difficile, ma divenne quasi impossibile quando scelsero una superficie folle, velocissima, una sorta di vetro. Nel 1985, per il match contro la Francia, persino il dittatore Alfredo Stroessner diede l'OK all'operazione e permise che il palestrone del match fosse ribattezzato con il suo nome. Era un luogo surreale, senza aria condizionata nè finestre. A causa del caldo, i match iniziarono alle 18 per terminare nelle prime ore del mattino. Nel match inaugurale, Pecci battè Noah col punteggio di 6-8 15-13 2-6 8-6 10-8 in circa sei ore di gioco. C'erano circa 3.000 spettatori in un impianto che avrebbe potuto contenerne 1.500, e il pubblico beccò Noah per tutta la partita, versandogli anche della birra addosso. In quegli anni, il Paraguay infilò una serie di vittorie clamorose : non solo la Francia, ma anche la Cecoslovacchia di Lendl nel 1983 e gli Stati Uniti nel 1987. Oggi non sarebbe più possibile, perché negli ultimi anni l'ITF ha scelto di limitare le superfici a quelle omologate, dunque non troppo lente o troppo veloci. D'altra parte, nel 1990 la Cecoslovacchia giocò sul plexiglas, e nel 2007 gli Stati Uniti vinsero la loro ultima Davis battendo la Russia su un campo rapidissimo. «Anche così hanno ucciso l'essenza della Davis» dice Pecci. E comunque, vista la sede unica, le 18 squadre finaliste perderanno qualsiasi diritto di scelta. Uno dei tanti scempi a una tradizione che finisce, mesta, nello scrigno dei ricordi.
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