di Marco Caldara
07 January 2021

Azzurro Vavassori: dal campetto del nonno alla nazionale

Il 25enne doppista torinese sarà il quarto uomo dell’Italia all’Atp Cup di Melbourne, insieme a Berrettini, Fognini e Bolelli. È il premio a un percorso fatto di scuola pubblica, sacrifici e tanta gavetta. Cresciuto con le vhs di Rafter, oggi è fra i top 100 in doppio e sogna in grande insieme a Sonego

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Ogni giorno, sfruttando una crepa presente sul campo in asfalto voluto da nonno Arduino nella piccola frazione di Tetti Neirotti (comune di Rivoli, Torino), papà Davide Vavassori indicava al figlioletto Andrea il punto in cui era arrivato nel suo percorso di crescita con la racchetta. Oggi quel bambino ha 25 anni e la crepa è sparita, perché in soccorso è arrivata l’erba sintetica, ma se ci fosse ancora il tennista piemontese sarebbe più in alto che mai, con un posto fra i primi 100 al mondo nel ranking di doppio e un biglietto aereo in tasca, destinazione Melbourne. All’Australian Open farà il suo esordio in un torneo del Grande Slam, e prima sarà nel quartetto che sempre a Melbourne Park difenderà i colori dell’Italia nell’Atp Cup. Un onore diventato routine per i suoi compagni Berrettini, Fognini e Bolelli, ma qualcosa di magico per lui, il gigante sorridente e col vizio del serve&volley, che con la racchetta ha iniziato a fare sul serio a vent’anni e cinque stagioni più tardi – o poco più – può brindare a un posto in nazionale.

Un traguardo raggiunto partendo da lontano, e passando anche da un diploma di liceo scientifico alla scuola pubblica, quella che la gran parte dei colleghi ha frequentato fino alle medie, prima di prendere qualche scorciatoia. Lui invece ha scelto la strada più complicata, a costo di mettere il tennis in secondo piano e stare sui libri fino all’una di notte, ma gli è servito per capire che senza impegno e dedizione non si arriva da nessuna parte. Poi ha deciso col papà-coach di darsi 3-4 anni per vedere se avesse senso provare a fare il tennista, e ai primi di febbraio indosserà la maglia dell’Italia in mezzo a 14 dei primi 15 giocatori al mondo. Quindi sì, ne è valsa la pena, grazie a un percorso nel circuito piuttosto inusuale. Inizialmente le sue ambizioni erano riposte solo nel singolare, poi si è accorto che in doppio vinceva di più, così è passato ai Challenger e grazie ai successi in doppio è cresciuto anche in singolare, fino a battere qualche top-100 e mostrare di valere certi livelli anche senza un compagno con cui dividere i meriti.

Data la classifica raggiunta e le possibilità che ne derivano, tuttavia, è naturale che la priorità di Vavassori sia il doppio, in cui gli è sempre venuto tutto facile grazie alla naturale predisposizione per il gioco di volo. Merito di papà Davide, che ha cresciuto sia lui sia i fratelli Sara e Matteo a vhs del suo idolo Pat Rafter, con qualche incursione di Pete Sampras e Tim Henman. Impossibile non sviluppare il rovescio a una mano e un tennis fortemente offensivo, che fa rima con serve&volley, slice, variazioni e amore per il rischio. Tutte armi forgiate sul famoso campetto che il nonno aveva fatto costruire dopo una vita di sacrifici, e che al nipote sono servite a farsi strada fino al numero 94 del ranking di doppio, secondo italiano al mondo dopo Simone Bolelli, sua spalla designata per l’evento per nazioni targato Atp. Merito dei passi avanti compiuti di anno in anno, sempre sotto la guida di papà, e anche della scelta di investire su varie figure professionali diverse che lo potessero aiutare a migliorare. Farlo quando ti chiami Djokovic è facile, mentre quando le entrate sono quelle di Challenger e Futures non è una scelta così comune.

Andrea ha raccolto i frutti delle sue decisioni ambiziose negli ultimi due anni, in particolare in un 2020 nel quale non ha mai ceduto alle difficoltà. E ce ne sono state diverse, a partire dal lockdown primaverile nel quale si era distinto per una riflessione che testimoniava responsabilità, cervello e capacità di dare al tennis il giusto peso. Poi ha dovuto fare i conti con un’epitrocleite al gomito che non se ne voleva andare malgrado le terapie e l’ha costretto a limitare l’attività, e quindi pure con la positività al Covid-19, che dopo il Sardegna Open l’ha obbligato a un altro periodo di stop. Ma in mezzo agli imprevisti non sono mancate le soddisfazioni: su tutte i quarti di finale con Sonego agli Internazionali d’Italia, dove hanno battuto i vincitori dell’Australian Open Ram/Salisbury, e poi il successo di fine stagione al Challenger portoghese di Maia, il sesto in carriera. Da lì in poi è arrivato tutto in fretta: il best ranking, la certezza di un posto nel primo Slam del 2021 e l’esordio in nazionale. Non è la Coppa Davis che desiderava fin da piccolo, ma è comunque un inizio.

Per provare a conquistare un posto in Davis c’è tempo, e la nuova formula che ha allargato a cinque i giocatori a disposizione dei capitani sembra strizzare l’occhiolino proprio ai doppisti, spesso trascurati in passato a favore di un singolarista in più. Per Vavassori, il sogno è di raggiungerla insieme all’amico fraterno Lorenzo Sonego, torinese come lui, coetaneo e nato solamente sei giorni più tardi. Si conoscono dai tempi dei tornei under, si allenano spesso insieme e per il 2021 puntano a fare coppia fissa, partendo dall’Australian Open. “Avere una spalla come Lorenzo – ha detto di recente – mi aiuta moltissimo. Non esce mai dal campo senza avere dato tutto. Quando perde è solo perché l’avversario è stato più bravo di lui, è difficili che si porti dei rimpianti nello spogliatoio. È sempre grintoso e carico, ma anche positivo. La sua capacità di non mollare mai è un grande insegnamento”.

Per Vavassori, che sin qui ha cambiato partner a ripetizione, potrebbe essere la mossa decisiva per salire ancora nel ranking. “Lorenzo è disposto a fare coppia fissa con me – ha detto di recente – ma per riuscirci devo prima costruirmi una classifica che mi permetta di giocare in pianta stabile a livello ATP. Dovessimo riuscire a vincere qualche incontro in Australia sarebbe già un bel passo avanti”. La storia recente del doppio insegna che tanti giocatori sono riusciti in fretta a passare da sconosciuti a protagonisti ad altissimi livelli, perciò è lecito sognare: la Davis, le Olimpiadi e magari persino quelle ATP Finals che per i prossimi cinque anni si giocheranno a casa loro. Agguantarle in singolare è roba per pochissimi, mentre in doppio non sembra un’impresa impossibile. E farcela da torinesi a Torino varrebbe il triplo. “Siamo giovani e non abbiamo fretta – vola basso Andrea –, dobbiamo crescere e farci trovare pronti per palcoscenici importanti”. Il primo lo calcherà fra qualche settimana, con tanto orgoglio e l’augurio che sia solo l’inizio.

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