Roger Federer, o il pensiero della fine

Il 2020 è cominciato, e tutti gli indizi portano a pensare che sarà l'ultimo anno da "pro" per Roger Federer. Alcune riflessioni in proposito da un punto di vista inedito: quello di Ludwig Monti, monaco biblista e grande appassionato di tennis

Foto Ray Giubilo

Ludwig Monti sul Centre Court

“Vivo con il pensiero della fine”, parola di Roger Federer, in un’intervista natalizia apparsa nei giorni scorsi su un grande quotidiano italiano, che l’ha ripresa da una piccola testata svizzera.

Da giorni, da quando l’amico Stefano Semeraro (d’ora in poi il Direttore, noblesse oblige) mi ha chiesto di collaborare a questo glorioso mensile con una rubrica su Roger, pensavo a come avrei potuto iniziare. Ed ecco il vincente che aspettavo: “Roger Federer, o il pensiero della fine”. Sempre più vicina, ormai, forse alla fine del 2020, o poco oltre.

Una parola su di me, solo per aiutare chi leggerà a collocarmi. Sono un monaco cristiano e un biblista. Ma da anni ormai nutro una passione bruciante e a tratti insana per Roger, che ho inseguito in varie parti d’Europa e di cui ho anche scritto, per divertimento, nell’anno di grazia 2017 e a sprazzi nel 2018. Lo dico solo perché non ci si stupisca di qualche riferimento biblico o “spirituale” (aggettivo detestabile, quasi come il ricordo dei due matchpoint falliti il 14 luglio 2019 a Church Road, contro il serbo) che farà capolino qua e là. D’altronde, sono in buona compagnia.

In questi placidi giorni natalizi, tra un anno e un altro, si celebra laicamente una fine e un inizio. “Nel mio inizio è la mia fine”. Si citano spesso queste parole di una bella poesia di T. S. Eliot. Ma si dimentica che questa è la sua conclusione: “Nella mia fine è il mio inizio”. La fine (tennistica) di Roger è vicina, nuovo inizio. Non so cosa farà lui dopo. Ma soprattutto, non so cosa faremo noi, senza più poter contemplare la sua bellezza in movimento. Senza più consolarci con il pensiero che alla fine di un torneo seguirà l’inizio di un altro in cui potremo vederlo. Che dopo le Finals (a Torino tra due anni, perché con questa tempistica?) ci sarà ancora Roger ad allietare il nuovo anno in Australia…

“La fine di tutte le cose è vicina”, scrive l’apostolo Pietro. Forse il problema sta tutto qui: nell’accettare che il tempo finisca. Che non si possa fermare (io lo avrei fermato sempre il 14 luglio 2019, quinto set, 8-7, 40-15!), come avviene di fronte a un “Federer moment”, momenti ormai reperibili online a iosa. Un conto, però, è sapere che torneranno ancora; altro è accoglierli con il fazzoletto in mano, immersi ormai senza più pensarci nell’epoca della riproducibilità tecnica dell’opera d’arte.

Ma bando ai sentimentalismi. Ci sarà tempo per diluirli nel mare dei prodigi tennistici di cui ancora Roger vorrà beneficarci. Sì, ci attende un 2020 comunque radioso, credo e voglio sperare. Lo passeremo, in parte, insieme. Un 2020 forse baciato da due numeri: 21 e 110, a Tokyo o alle Finals, dice l’ottimismo della volontà. Troppo? In questi giorni natalizi ce lo concediamo… E così – come dovrei sempre fare – mi accingo a rinnovare un atto di fede, anzi un atto di Federer.

Un atto lungo un anno. Poi sia quel che sia. Ma il pensiero della fine non ci intristisca, come non pare intristire il Re. Quel giorno sarà un nuovo inizio, il pensiero dell’inizio. Di inizio in inizio, attraverso inizi che non hanno mai fine. Adeste fideles, sursum corda, amanti dell’arte in movimento, alias Roger Federer!

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