Il favoloso mondo di Camila Giorgi

Non è facile mettere il naso nell’universo di Camila Giorgi. Lei parla poco, mentre papà Sergio è un fiume in piena: ha sempre fatto tutto da solo, mentre ora ha capito che qualche mano da fuori può fare comodo. Ma non più quella della FIT. I Giorgi guardano al futuro, promettendo dei titoli Slam.
(*) «Fidatevi di quello che vi dico: se gioca anche solo un anno in Lega Pro, poi finisce in Serie A». Sergio Giorgi è seduto in tribuna come sempre, con la schiena avanti e i gomiti sulle ginocchia per stare più vicino possibile al campo. Non è da tennis ma da calcio, e dentro non c’è Camila ma Amadeus, il più giovane dei due figli maschi, in prova al Renate, squadra brianzola di alta classifica nel Girone 1 della vecchia Serie C. Giorgi senior segue l’allenamento con attenzione, senza dire una parola. Nel calcio è solo un genitore qualsiasi, non spetta a lui parlare. È quando si passa al tennis che diventa (anche) un coach, e il suo microfono si accende. Nel bene o nel male, il 55enne nativo di Buenos Aires, figlio di un emigrante di Perugia arrivato in Argentina a costruire barche, è uno dei personaggi più discussi del tennis italiano. Anche perché ogni volta che apre bocca ha sempre qualcosa da dire e, malgrado le raccomandazioni della moglie Claudia, non riesce proprio ad armarsi di politically correct. Qualcuno lo applaude per aver portato Camila al numero 30 del ranking mondiale pur non essendo un coach uscito da una scuola maestri; altri ritengono che con le doti atletiche che la figlia si ritrova il risultato sia (per adesso) un mezzo fallimento e la colpa sia soprattutto di papà. «Dell’opinione della gente – esordisce – non mi interessa nulla. In parte hanno ragione: non sono un allenatore di tennis. Quando Camila ha iniziato a giocare, ho cercato per lei la miglior struttura e il miglior coach possibile. Pensavo esistesse, invece non l’ho trovato». E allora è partito un fai-da-te a porte chiuse che ha prodotto risultati (e decisioni) che tutti conoscono, e nella sfera Giorgi hanno messo piede pochissime persone: giusto qualche sparring e per un breve periodo il tecnico Daniele Silvestre. Solo ultimamente il clan ha un po’ allargato i confini, annettendo un preparatore atletico e una società di management che lavorerà su un’immagine mai veramente promossa a dovere. «In questo momento è importante che collaborino con noi più persone. All’inizio non avevamo altra scelta, ma ora non possiamo fare tutto da soli: è giusto che ci sia un team con un preparatore fisico, un chiropratico che ci ha aiutato a risolvere i famosi problemi alla spalla e ora sta lavorando sulla schiena, un manager, mia moglie. Ognuno fa la sua parte». Detto da uno che ha sempre avuto l’aria del monarca assoluto, fa un certo effetto.
Tuttavia, al centro del progetto restano lei e lui: l’eterna promessa che parla poco e vorrebbe persino evitare le conferenze stampa (obbligatorie) e il padre anarchico, dalla personalità d’acciaio forgiata nella guerra delle Falkland, l’amore per Mozart e l’ammirazione per il Loco Bielsa, l’allenatore di calcio argentino noto – citando Wikipedia – per il carattere eccentrico e le stranezze comportamentali. «Secondo me – prosegue – il tennis è aggressività. In difesa si possono fare due, tre, quattro cose, mentre chi gioca d’attacco ha molte soluzioni in più. Per questo è bello vedere un incontro di Camila, anche quando perde o non gioca al meglio». In campo la figlia è come lui: veloce, impetuosa, istintiva. Fuori sembra l’opposto. I loro caratteri paiono così diversi da dare l’idea di non poter andare d’accordo, tanto che dopo la rottura con la FIT, l’altro Sergio della questione (Palmieri) ha definito la giocatrice «vittima di un padre invadente». Il punto è uno: o il secondo conosce poco la situazione, o il primo mente, visto che a sentirlo parlare la situazione è ben altra, cementata da mamma Claudia, una figura che si vede pochissimo ma tiene le redini della famiglia e si occupa di tutte le decisioni importanti, campo a parte. «Abbiamo un rapporto stupendo: è da quando Camila è piccolissima che sta sempre con me. Quando aveva tre anni l’accompagnavo a ginnastica, seguivo l’allenamento e poi ce ne tornavamo a casa. Ora l’accompagno in giro per il mondo. Camila è una persona squisita, di classe. Capita spesso di litigare, durante gli allenamenti posso diventare insopportabile, ma fa parte del gioco. E poi il mio compito finisce lì. Più di una volta le ho proposto di ingaggiare un altro coach, anche perché a me non piace molto viaggiare, ma lei non ne vuole sapere. Vuole essere la sola responsabile dei suoi risultati e con me sa che può fare ciò che vuole: se preferisce non andare ad un torneo, non ci andiamo. Sono io a seguire lei, non il contrario». Proprio in quest’ottica le ha affiancato da circa nove mesi un nuovo preparatore atletico, facendosi da parte dopo essersene occupato a lungo in prima persona. La categoria dei trainer fisici non gli era mai piaciuta, diceva che utilizzavano metodi di lavoro standard, poi ha conosciuto Andrea Castellani e ha deciso di dargli fiducia. «Lavora su dettagli che non si vedono ma possono diventare determinanti. È inutile perdere tempo coi pesi o con ore di corsa: nel tennis non servono a nulla. Meglio utilizzare lo yoga, lo stretching, esercizi per l’equilibrio». Tuttavia, non è certo il fisico il problema attuale di Camila, quanto piuttosto un tennis troppo frettoloso, bianco o nero, senza veri colpi interlocutori e senza il famoso piano B. Oppure la testa, almeno secondo Sergio, che però invece di trasmettere quel mix di tranquillità e positività che i giocatori cercano guardando la panchina, è spesso accigliato, teso, agitato. «Per uno che viene da fuori è normale mettersi comodo, però io sono il padre, è più complicato. All’Australian Open è uscito un articolo che raccontava tutti i miei comportamenti: l’autore aveva ragione, ma non ha capito quale era il punto. Quel match (contro la Bacsinszky, ndr) Camila l’ha perso dopo pochi minuti, perché l’avversaria l’ha messa subito sotto dal punto di vista mentale. Qualcosa che non deve mai più succedere, e le è servito tantissimo».
Oggi la Giorgi, dopo l’eterno pellegrinaggio che l’ha portata da Macerata a Pesaro, e poi a Como, Milano, Valencia, Palma di Maiorca, Parigi, Miami e Tirrenia, ha trovato casa sui campi della Professione Tennis di Calenzano (Firenze), nel club gestito da Erasmo Palma. «Quando siamo arrivati gli ho detto che siamo strani, che pensiamo tutto in maniera diversa dagli altri e che non sapevo quanto tempo sarebbe riuscito a sopportarci». Invece siamo lì da un annetto e tutto funziona a dovere, tanto che il campo principale, precedentemente intitolato a Chris Evert, è diventato il campo Camila Giorgi, con buona pace dei 18 Slam dell’americana. Di trasferirsi fuori dall’Italia, dopo i problemi scoppiati con la FIT, non ci hanno nemmeno pensato, così come a cambiare cittadinanza. «Camila non deve giocare per la Federazione, ma per l’Italia. È nata qui e questa è la sua nazione». La diatriba con la FIT è nota: la Giorgi ha rifiutato la convocazione per la sfida di Fed Cup del 2016 contro la Spagna, non onorando il contratto siglato nel 2013, che in cambio di benefici logistici ed economici (mai resi pubblici) la obbligava ad accettare tutte le chiamate in nazionale. Una scelta che ha scatenato una bufera e prodotto una sospensione di nove mesi da tutte le attività federali e una multa di 30.000 euro da parte del Tribunale Federale. «Secondo me, Camila ha preso una decisione nel pieno rispetto della Federazione. Non si sentiva al 100%, sapeva di non poter rendere al massimo e così ha preferito farsi da parte. Ciò che ha chiesto era a favore della Federazione e della squadra, non il contrario». Della questione si sta occupando l’avvocato Fabio Azzolini, che ha scelto un profilo basso e ai processi mediatici 2.0 preferisce far parlare le aule dei tribunali. «La linea che abbiamo adottato – spiega il legale – è quella di non parlare con la stampa fino a quando i procedimenti non saranno conclusi. C’è in essere un arbitrato per ciò che riguarda i contratti (fra la giocatrice e la FIT, ndr) e un processo sportivo per la sanzione e la sospensione che le sono state comminate dal Tribunale Federale. Al termine dei procedimenti forniremo la versione dei fatti secondo la versione dei Giorgi, anche in relazione alle decisioni». L’impressione è che ci sia l’intenzione di trovare un accordo, ma visto il grado della spaccatura non sarà per niente facile. I vertici della FIT hanno scelto il pugno duro e il presidente federale Angelo Binaghi ha parlato di caso da telefono azzurro. «Non mi ha ferito, anzi, mi rende orgoglioso. Il fatto che diano così peso a ciò che facciamo mi fa sentire importante. Quando vuoi qualcosa e non la ottieni, ti innervosisci. Loro volevano Camila, ma in mezzo ci sono io, che non piaccio per nulla. Sono molto anarchico, non credo nelle religioni, non credo nella politica, penso che ognuno dipenda solo da se stesso. Non mi piace avere qualcuno che mi comanda, infatti sono stato cacciato da un sacco di posti. Allo stesso tempo, sono molto liberale: per me ognuno può dire la propria opinione, anche se sbagliata. L’importante è che non arrivino insulti nei confronti di Camila».
Negli anni, Sergio ha spesso professato una certa antipatia verso la Fed Cup, intesa come competizione, dicendo che invece la figlia la adorava. In realtà è parso spesso il contrario, e ciò che è accaduto nell’aprile scorso lo confermerebbe. «Camila non si sentiva a proprio agio nell’ambiente. È una persona molto sensibile e la sua serenità è fondamentale. In qualsiasi lavoro, se viene a mancare la tranquillità, è difficile andare avanti. Pensavamo che l’avrebbero trattata molto meglio, come qualsiasi altra giocatrice». Invece, a loro modo di vedere non è stato così, e durante la sfida dello scorso anno contro la Francia (a Marsiglia) qualcosa è andato in frantumi. «Ho discusso con la Schiavone, ma quella era una cavolata. Mentre con altri il discorso è stato un po’ più profondo (ride, ndr). Dopo l’allenamento della vigilia, Barazzutti ha voluto parlare con Camila. Io li ho lasciati soli, pensando si confrontassero per preparare l’incontro. Invece hanno parlato d’altro e lei mi ha riferito alcune cose che non mi sono piaciute. Così ho reagito. Ma non ce l’ho con loro. Ho provato solamente a difendere Camila, nient’altro. È finita lì, non sono un tipo rancoroso». Fatto sta che, a meno di clamorosi dietrofront, la FIT dovrà dire addio – nel momento peggiore – a quella che diventerà presto la numero uno d’Italia, mentre i Giorgi hanno perso un’altra bella opportunità, anche in termini economici. Opportunità che si aggiunge ai tanti rifiuti ad agenzie e aziende che – a detta di Sergio – sono alla base dei problemi legali con dei creditori (o presunti tali) avuti in passato negli Stati Uniti, riportati a galla dalle inchieste di Sports Illustrated e TennisBest, che mister Giorgi non aveva accolto esattamente col sorriso... «C’è gente che negli Stati Uniti ci ha reso la vita impossibile. Dietro a Camila ci sono stati gli interessi di tante persone. È normale, lei attrae molto per il genere di persona che è: carina, ottima giocatrice e con un modo di fare originale. Volevano entrare nel mondo di Camila, ma in mezzo ci sono sempre io, che non piaccio a nessuno. Nelle inchieste c’erano scritte alcune cose false, studiate ad hoc per farci del male. Noi abbiamo rifiutato offerte di grandi aziende di abbigliamento, come delle agenzie di management con alle spalle persone potenti. Stare alla larga da tutto può diventare difficile e l’hanno preso come uno sgarro: prima ci hanno minacciato e poi fatto la guerra. Non penso di avere colpe, non abbiamo mai fatto nulla di terribile. A distanza di qualche anno posso dire che è stato creato un dramma per una cavolata. I nostri rifiuti hanno dato fastidio». Eppure quei rifiuti continuano ad arrivare, specialmente alle aziende di abbigliamento che vorrebbero vestirla, sostituendo (o firmando) gli splendidi completi disegnati da mamma Claudia. «Dal 2016 abbiamo uno sponsor (Can-Pack S.A, azienda polacca produttrice di imballaggi e dispositivi di chiusura per bevande, alimenti e altro ancora, ndr) in grado di coprire molto più di quanto possano darci gli altri. Non credo ci sia alcuna giocatrice al mondo che riceva una cifra simile per portare un solo logo sul petto. Per ora le aziende di abbigliamento ci hanno sempre offerto troppo poco: preferiamo che Camila vada avanti con i suoi completi, molto più carini».
La cura dell’immagine, viste le potenzialità di Camila in campo e fuori (dove i social le attribuiscono un fidanzamento con l’ex stellina azzurra Giacomo Miccini), non è un aspetto così esplorato dai Giorgi, ma può diventare molto importante. A gennaio sembrava fosse pronto a puntare su di lei – tramite l’agenzia del figlio - il celebre manager dei Vip Lele Mora, ma l’operazione non è andata in porto. «Tramite una persona ci siamo conosciuti, il personaggio mi incuriosiva. Io odio i moralisti e visto che un sacco di gente gli ha puntato il dito contro ero interessato da questa figura. Con noi si è rivelato una persona educata e corretta. Ma il suo mondo è lontano anni luce dal nostro». Per fortuna, verrebbe da aggiungere. Così a febbraio è subentrata – stavolta ufficialmente – la A&J All Sports, società di management fondata dai fratelli bergamaschi Alex e Johnny Carera. Sarà proprio il secondo, insieme al figlio ventiseienne Lorenzo (buon seconda categoria che ha fatto anche una comparsa nel ranking ATP), a curare l’immagine e gli interessi di Camila, che dopo aver toccato le top 30, oggi è scesa intorno al numero 75, e non ha (ancora?) mantenuto le promesse che le sono state cucite addosso quando si travestiva da giant killer, battendo varie top player. L’elenco dei titoli WTA è fermo a uno, due anni fa sull’erba olandese di ‘s-Hertogenbosch, mentre il miglior risultato Slam restano due ottavi, datati 2012 e 2013: un po’ pochino. Ognuno ha la propria teoria sui motivi che ancora non le hanno permesso di dar fondo a tutto il suo serbatoio di potenzialità. Anche Sergio, ovviamente. Tuttavia, mentre in molti hanno perso le speranze, per lui gli obiettivi non sono cambiati di una virgola. Anzi. «Sicuramente avrò commesso degli errori nella gestione di mia figlia, ma non sono pentito, non fa parte del mio carattere. Camila ha pure perso quasi tre anni del suo percorso per un grave lutto familiare ed è un miracolo che abbia continuato a giocare. Aveva ragione Bollettieri quando ci disse che eravamo troppo italiani e che questo avrebbe fatto maturare Camila piuttosto tardi. Ma io sono contento così: la vita non è soltanto il tennis, fuori c’è molto altro. In più, lei ha un gioco complesso, che richiede più tempo per trovare ordine. Un mix che non ha ancora trovato, ma che sta arrivando. Ha 25 anni e gioca un tennis meraviglioso: le basta azzeccare un paio di tornei per salire nelle prime 20. Ed è quello che succederà a breve. C’è stato uno scatto in avanti evidente, già nel primo torneo di questa stagione. Poi i problemi alla schiena non le hanno permesso di giocare spesso. Ma nel giro di due o tre mesi, infortuni permettendo, inizierà a fare grandi risultati». A parlare è l’amore di papà, ma lo dice con una sicurezza tale che viene spontaneo dargli fiducia. E, non pago, spara immediatamente l’all-in al buio: «Slam? Ne sono sicuro. Non c’è bisogno di essere un mago per saperlo, sono realista. Camila vincerà sicuramente degli Slam. Nessun dubbio. Non so quando, ma vincerà dei titoli Slam».

(*) Cover story pubblicata sul numero di aprile 2017 della rivista "Il Tennis Italiano"
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