Non voglio farvi un riassunto del cortometraggio, ma qualcosa dovrò pur dire per invogliarvi. “Due punti per vincere il torneo”, dice all’inizio il telecronista. E la telecamera stacca su una bionda signora che, infervorata, si alza in piedi e grida: “One more!”. Roger sta servendo, gliene basta uno dei due per vincere. Il Direttore, presente quel giorno sul Centre Court, mi ha confidato di aver visto e tentato di zittire la signora, nel tripudio generale, quasi in preda a un nefasto presentimento. Non dimenticherò mai il volto della bionda, l’ho anche sognato…
Scena successiva: video scuro per qualche istante, nastro riavvolto. Dalla sconfitta con Anderson ai quarti di Wimbledon ’18 sul campo 1 (perché?), fino alla stagione sul rosso ’19 e alla vittoria ad Halle ’19. Qualche trionfo (tra cui i tornei dal 100 al 102), diverse sconfitte. E torniamo a Wimbledon ’19. Rapide pennellate per schizzare il suo percorso abbastanza agevole (io c’ero al secondo turno… sul campo 1!), fino alla semi contro Rafa. Battaglia tra due eroi spelacchiati, come due superstiti sulla piana di Maratona. Rieccoci a noi. Roger seduto nel cambio campo dopo aver sprecato i due tesori. Sguardo immerso nell’infinito, pensieri inattingibili. Poi tutto precipita. Allo scoccare delle quattro ore lo spreco fatale. Gli ci vuole un’altra ora scarsa di lotta per consegnare le armi. Sperperando anche un break point. Nel frattempo scorrono immagini di altre sconfitte dolorose contro il serbo. Le due semi dello US Open ’10 e ’11 (con due match point falliti!). Il Re che in conferenza stampa dice: “Almeno non era una finale”. Quando si parla di doti profetiche…
Gli ultimi tre minuti e mezzo sono da brividi. Piango per l’ennesima volta. Lo sguardo perso eppure composto di Roger durante la premiazione. Stavolta senza lacrime, eppure i suoi occhi e la mascella rigida sono un fiume di pensieri ed emozioni. La commozione delle due figliolette gemelle, che a solo dieci anni si rendono già conto che un’occasione così non tornerà più… Da ultimo, la canzone che accompagna questo triste declivio scosceso, dove il naufragar ci è agrodolce: “There is a reason I’m still standing”. Parole chiave: “C’è una ragione se sono ancora in piedi”. Quale? “Non ho mai saputo se sarei atterrato. E correrò veloce, durerò più a lungo di tutti quelli che hanno detto no”. Di uno che gli ha detto no, con un passante diabolico.
No, Roger non durerà sui campi più di Nole né correrà più veloce di lui. Eppure è ancora e per sempre l’Immenso, imperituro anche nel perdere. Ho cercato tante interpretazioni di questa sconfitta. Vano. A distanza di un anno ancora non ho la forza di pensieri acuti al riguardo. Forse è solo una partita di tennis. Ma no… Forse la lezione è che sulla terra, e sull’erba, non si compie in pienezza (e dico in pienezza) davvero nulla. Per un attimo mi sovviene san Paolo: “Quando sono debole, è allora che sono forte”. Mi torna spesso in mente, anche se non l’ho mai davvero capito. Lo so, non vi basta, come non basta a me. Figuriamoci a Roger. Ma provate voi a darvi una spiegazione. Guardate questo piccolo capolavoro. Poi, magari, mi direte.