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EDOARDO SANTONOCITO: CHIAMATEMI MAESTRO, MA NON DI INSTAGRAM

Edoardo Santonocito, 26 anni di Genova, miglior classifica 2.6, mai conquistato un punto ATP e ora istruttore di secondo grado nel piccolissimo Tennis Club Castelletto, ha accumulato un milione di follower su Instagram. Perché è bello, ha gli addominali scolpiti ma anche un cervello che viaggia veloce. E mentre l’invidia dei colleghi cresce, lui ai soldi facili dei social network preferisce il sogno di portare dei giovani allievi a diventare dei tennisti professionisti
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Edoardo Santonocito è nato il 12 ottobre 1992 e da ragazzino prometteva piuttosto bene. Sotto le cure del maestro Daniele Musa, è arrivato alla classifica di 2.6 ma dopo le prime esperienze nei tornei Futures ha abbandonato la carriera agonistica per motivi strettamente familiari. Ha quindi cominciato a insegnare e attualmente è istruttore di secondo grado e lavora sul solo campo a disposizione del Tc Castelletto, nella sua Genova. Nel frattempo è diventato anche una celebrità di Instagram, al punto da aver superato il milione di follower.
 

Ha più follower di Alex Zverev ma intorno ai campi, durante il torneo challenger, i colleghi (lui è istruttore di secondo grado) non gli fanno le feste. Anzi, lo salutano sghignazzando: «Uei, ciao, Instagram!» Se gli chiedi quale opinione abbiano di lui gli altri maestri genovesi, replica senza pensarci su: «Lo dico con rammarico, ma sono sicuro che il 100% di loro mi considerino un deficiente».

Edoardo Santonocito è nato nell’anno dei festeggiamenti per i 500 anni della scoperta dell’America. Cresciuto a Carignano, vive a Castelètu, quartiere residenziale sulle alture della città, dove sembra che il muro della casa didietro appoggi su quello della casa davanti e, se mai venisse giù quella in prima fila, in mare pare che ci debba finire tutto l’isolato. Suo padre era titolare di un’impresa edile; a metà degli anni Duemila rilevò, insieme alla moglie, le quote del microscopico Tc Castelletto – ai tempi un campo malconcio e una clubhouse completamente inagibile, accerchiati da un palazzotto della buona borghesia in cui abitava tutta la famiglia – e si misero a risistemarlo. Intanto, Edoardo aveva abbandonato il pallone per il tennis: a 14 anni si allenava all’Andrea Doria, con Antonio De Pra’: era dotato, si appassionò subito al nuovo sport. Studiava pure, al liceo classico. Solo che il preside accolse le richieste dei genitori - che domandavano una dispensa per permettergli di allenarsi anche due mattine alla settimana – con la tipica accondiscendenza della scuola italiana: «Certo, fate pure. Contiamo le assenze e, arrivati al limite (più di un quarto dei giorni scolastici saltati, ndA) lo bocciamo». Passato alla scuola privata, prese ad allenarsi a Toirano, il paesino delle grotte, con l’ex 133 Atp Daniele Musa. La giornata-tipo suonava così: sveglia all’alba, motorino, stazione Principe alle 6:30, treno fino alla fermata di Finale Ligure, automobile lasciata nel parcheggio, circolo, quattro ore di tennis, tre di atletica, ritorno a casa, svenimento sul letto fino al mattino successivo. Musa vide in Santonocito una promessa: stava crescendo a vista d’occhio, anche fisicamente, complici le prese in giro degli amici. «Fino a quindici anni ero un tappo, e magro come una sigaretta»: attizzato dal fuoco della rivalsa, aveva iniziato a studiare sul web come diventare più grosso; proteine in polvere, nutrizione da culturista, sessioni di massa e definizione in palestra. Con un fisico sempre più palestrato, e la statura che aveva superato il metro e ottanta, non aveva senso continuare a giocare di rimessa: il coach gli smontò e ricostruì il tennis, concentrandolo su servizio e dritto. I primi risultati arrivarono. In poco tempo, Edoardo diventò 2.6 e iniziò a girare per tornei Futures: due settimane in Spagna, Murcia e Cartagena, poi Antalya, in Turchia. Non prese punti, anzi, «rimediai delle belle “lisciate”, perché ero ancora fragile mentalmente, da solo in un mondo sconosciuto. E poi non giocavo mai sereno, neanche gli Open: ragionavo troppo su tabelloni e avversari, entravo in campo che mi ero giocato già un set e mezzo nella testa. Dopo mezz’ora, ero esausto. Quell’anno, mi resi conto che non ero ancora pronto: ma ero ancora giovane e deciso a lavorare quanto bastava, perché amavo profondamente quello che facevo».

L'ARTICOLO COMPLETO SULLA RIVISTA DI MARZO ATTUALMENTE IN EDICOLA.

ERRATA CORRIGE
Ci teniamo a rettificare che, a differenza di quello che è stato pubblicato sul numero di marzo della rivista, Edoardo era stato contattato dai produttori di Uomini&Donne in Spagna ma aveva deciso di non partecipare al programma.
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