di Marco Caldara - 18 June 2021

Djokovic e il Grande Slam: un'impresa possibile

È soltanto la quinta volta nell’Era Open che un giocatore riesce a vincere i primi due Slam dell’anno. La storia racconta che lo snodo cruciale per completare il Grande Slam è il torneo di Wimbledon: Djokovic ha vinto le ultime due edizioni, e ci arriverà da favoritissimo. Nessuno ha mai avuto tante chance quante lui di aggiungersi a Bon Budge e Rod Laver

“Mi sono messo in una buona posizione”

Era inevitabile che dopo il titolo di Novak Djokovic al Roland Garros l’argomento Grande Slam saltasse fuori di prepotenza. Può sembrare ripetitivo, ma a Parigi si è capito una volta di più che Nole è il più forte di oggi e probabilmente di sempre, quindi è normale che il popolo della racchetta si interroghi sulle sue possibilità di diventare il terzo giocatore nella storia del tennis (maschile) a completare il Grande Slam. In passato gli unici capaci di rendere possibile l’impossibile sono stati Don Budge (1938) e due volte Rod Laver: una nel ’62 da dilettante e la seconda nel ‘69, prima stagione intera di tennis Open. Nessuno ha – e ha mai avuto – tante chance quante Djokovic di unirsi a loro, e se parlarne ora può sembrare un tantino affrettato visto che il campione di Belgrado è solo a metà dell’opera, è giusto ricordare che si tratta soltanto della quinta volta in 53 anni di Era Open che un giocatore conquista i primi due Major dell’anno. Dunque, anche se dovesse fermarsi qui come già gli è successo nel 2016, Nole ha già fatto qualcosa di tanto importante da non essere mai riuscito nemmeno a Nadal e Federer, visto che l’unico anno – il 2009 – in cui Rafa ha saputo vincere a Melbourne, Roger ha ricambiato scippandogli il trono a Parigi.

Nella sua conferenza stampa dopo la vittoria del Roland Garros, Djokovic non ha dovuto aspettare molto per confrontarsi con l’argomento. E – sorpresa – ne ha parlato apertamente, senza evadere da un tema sempre scomodo, specie a un’oretta da una vittoria Slam. “Ho già ottenuto risultati che tante persone non credevano possibili – ha detto il numero uno del mondo – e mi sono messo in una buona posizione per tentare il Grande Slam. Ma lo ero anche nel 2016, ed è finita con una sconfitta al terzo turno di Wimbledon”. Il monito è chiaro: meglio volare basso e non guardare troppo in là, perché nel tennis lo scivolone è sempre dietro l’angolo, specialmente sull’erba dove può bastare un gigante in giornata di grazia (tipo il Sam Querrey che lo spedì a casa nel 2016) per trovarsi a fare le valigie con parecchi giorni d’anticipo. Ma – e questo non si discute – la parte più difficile del suo progetto Grande Slam il serbo l’ha completata a Parigi, battendo Nadal a casa sua e prendendosi lo Slam per lui storicamente più complicato. A Wimbledon, invece, ci va da vincitore delle ultime due edizioni, con un Federer che non lo può impensierire, un Nadal che sull’erba fa meno paura e un gruppo di giovani che sui prati non si sono ancora dimostrati all’altezza dei più forti. C’è l’incognita del recupero fisico, data anche la settimana in meno fra Parigi e Wimbledon rispetto agli anni scorsi, ma punto di vista atletico Djokovic è un gradino sopra a tutti. Quindi i tempi ristretti spaventano relativamente e Novak ha ottime chance di arrivare allo Us Open con i giochi ancora aperti. E la doppietta Londra-New York gli è già venuta tre volte: nel 2011, 2015 e 2018.

Nessuno ha mai avuto le chance di Nole

“Io e Ivanisevic – ha scherzato coach Marian Vajda dopo la sbornia di Parigi – ci siamo detti che se Novak dovesse riuscire a completare il Grande Slam siamo pronti a ritirarci dal nostro ruolo di allenatori. Credo sia possibile, decisamente possibile. Il torneo che mi preoccupava di più era Parigi: è quello dove ha vinto meno, e quindi aveva meno fiducia. Vinto questo, credo che le possibilità di fare il Grande Slam ci siano. È ancora lontano e dobbiamo concentrarci sul prossimo torneo (Maiorca, solo in doppio, ndr), ma le nostre priorità sono naturalmente Wimbledon, le Olimpiadi e lo Us Open. È tutto studiato in funzione di questi tornei, e penso che ciò la dica lunga sui nostri obiettivi”. Vajda ha alzato ulteriormente l’asticella aggiungendo ai due Major che mancano anche il Torneo Olimpico di Tokyo, che – se tutto andrà bene –permetterebbe a Djokovic di riuscire addirittura nel Golden Slam, come ha saputo fare soltanto la mitica Steffi Graf nel 1988. Ma l’Oro Olimpico sarebbe qualcosa in più, una ciliegina sulla torta importante ma non fondamentale. Ciò che conta davvero sono gli Slam.

In carriera Djokovic è arrivato al massimo a tre Major in un anno come Federer e Nadal, riuscendoci nel 2011 e nel 2015, ma in entrambi i casi il sogno Grande Slam era tramontato già a Parigi. Stavolta, invece, il discorso è ancora aperto, come prima di quest’anno era successo soltanto quattro volte dal 1968 a oggi. La prima con Laver, che poi riuscì nell’impresa che l’ha consegnato alla storia come unico capace di centrare per due volte il Grande Slam; l’ultima sempre con Djokovic nel 2016. In mezzo il 1988 di Mats Wilander e il 1992 di Jim Courier. Entrambi vinsero prima a Melbourne e poi a Parigi, ma nonostante ciò non diedero l’impressione di poter davvero completare il poker più ambito. Perché lo svedese aveva il problema di Wimbledon (mai oltre i quarti in 10 partecipazioni), mentre il Courier di 29 anni fa non era nemmeno paragonabile al Djokovic di oggi. Tanto che i sogni di gloria del rosso statunitense franarono al terzo turno per mano del russo Andrei Olhovskiy, addirittura numero 193 del mondo, e dopo quel tracollo Courier vinse solamente un altro Australian Open. Djokovic, invece, sembra avere di fronte un’opportunità concreta.

La storia racconta che lo snodo cruciale per completare il Grande Slam è il torneo di Wimbledon. Fra uomini e donne, nell’Era Open è successo quattro volte che qualcuno/a sia stato in grado di vincere i primi tre Slam dell’anno, e in tre occasioni è poi arrivato anche il quarto titolo a New York. L’unica ad aver fallito sul più bello è stata Serena Williams, in quel 2015 nel quale la sua superiorità è stata più netta che mai. A Flushing Meadows era tutto apparecchiato per un suo trionfo, e invece la festa è stata italiana, con Roberta Vinci che ha eliminato la statunitense in semifinale e Flavia Pennetta che si è presa il titolo due giorni più tardi, in una finale tricolore. Quello di Serena fu un crollo emotivo e atletico, problemi dai quali Djokovic dovrebbe riuscire a tenersi alla larga. Fra tenuta atletica, versatilità, forza mentale, fame di successi, rifiuto della sconfitta e voglia siglare altri record, nessuno è mai stato così attrezzato per provare a completare il Grande Slam. Che sia davvero la volta buona?

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