Marco Caldara - 20 November 2017

«Grazie, Rafael. Mi hai dato più di quanto meritassi»

Con una splendida lettera pubblicata dal quotidiano El Pais, Toni Nadal si congeda dal circuito ATP e ringrazia tutte le persone che l'hanno aiutato nel percorso con "Rafa", ma soprattutto il nipote stesso. Un messaggio di stima, umiltà e dedizione, che ha molto da insegnare a tutti. Genitori e allenatori in primis.

Il ritiro dalle ATP Finals non ha segnato solo la fine del 2017 di Rafael Nadal, ma ha anche chiuso con un filo di amaro in bocca l’ultimo torneo con lo zio Toni seduto nel suo angolo. Sarà strano, dal prossimo anno, non trovarlo nel box di “Rafa”, dove il mondo del tennis lo vede da anni e ha imparato prima a conoscerlo, poi a stimarlo e quindi ad osservarlo, per captare i segreti che gli hanno permesso di costruire un percorso senza precedenti. Un percorso lungo 27 anni, conditi da 16 Slam e altri 59 titoli nel Tour, l’Oro Olimpico in singolare e doppio, quattro Coppa Davis e record su record, soprattutto sull’amata terra rossa. In campo ci andava Rafa, ci va Rafa, ma lui è sempre stato al suo fianco. Da quando nel 1990 il figlio di suo fratello mise per la prima volta piede in un campo da tennis, con lui, a quando sette giorni fa a Londra lottava come un dannato contro David Goffin, pur sapendo che a fine match avrebbe gettato comunque la spugna. Lo zio più famoso del mondo se ne va ora, in un momento felice, al termine della stagione che ha mostrato al mondo che Nadal c’è ancora. Ma l’aveva deciso già a inizio stagione, regalando a Il Tennis Italiano l’anteprima mondiale lo scorso mese di febbraio.

Il mio obiettivo è che Rafa torni il numero uno sulla terra rossa”, ci aveva detto a Budapest, invece il maiorchino è tornato il numero uno e basta, mettendosi di nuovo tutti alle spalle nel ranking ATP. E lui l’ha guidato alla rinascita, con umiltà, stando sempre in disparte, lontano dalle luci dei riflettori. Toni non se ne va del tutto, visto che si dedicherà alla formazione dei giovani nell’accademia di Manacor dove il nipote si allena, e perciò una voce in capitolo ce l’avrà spesso, perché nessuno ne conosce virtù ed esigenze come chi l’ha plasmato. In più ha sempre precisato che qualora “Rafa” desideri averlo ancora con sé, lui ci sarà, ragion per cui è facile pensare che prima o poi capiterà di vederlo ancora. Ma ora l’head coach diventa Carlos Moya e sarà lui a dividersi con Francisco Roig nei tornei, e guidare un percorso che – ce l’ha insegnato il 2017 – può avere ancora tante tappe, e tanti risultati importanti da raccogliere. Per congedarsi, Toni ha deciso di scrivere una lettera aperta pubblicata oggi da El Pais, il quotidiano spagnolo più diffuso. Nel messaggio, ringrazia tutte le persone che hanno collaborato con lui nel corso degli anni, ma anche i media, i tifosi e soprattutto suo nipote. “L’uomo – scrive Toni – che ha valorizzato la mia figura più di quanto meritassi”. Ve la proponiamo per intero, di seguito.

Il Masters della scorsa settimana è stato il capitolo finale della mia carriera di allenatore di mio nipote Rafael. Concludo una tappa felice lunga 27 anni, iniziata il giorno in cui il figlio di mio fratello Sebastian è entrato nel mio campo da tennis, a soli tre anni. Oggi vi lascio, ma il mio cammino nel mondo del tennis non finisce qui. Continuerò, perché il mio entusiasmo e il mio amore per questo sport, per fortuna, rimangono intatti.

Sin dall’inizio della carriera tennistica di mio nipote ho cercato di sviluppare in lui un carattere forte e deciso, per affrontare in particolare le difficoltà del tennis, ma anche quelle della vita in generale, con la quale il tennis ha molti punti in comune. Sono stato più fastidioso che gentile, e più esigente che permissivo. Gli ho dato più motivi per essere insoddisfatto che per essere felice, e gli ho sempre lasciato tutta la responsabilità. Francisco De Quevedo diceva che “chi si aspetta che nella vita tutto sia di proprio gradimento, troverà molti problemi”, e io non ho mai voluto facilitare le cose a Rafael.

Ho avuto la fortuna di vivere con una generazione di grandi giocatori, e ho sempre creduto che la difesa dei miei interessi non dovesse impedirmi di osservare gli altri da una prospettiva più o meno corretta. Non ho mai pensato che la rivalità dovesse andare anche oltre al campo e non ho mai considerato nessun rivale come un nemico. Questo mi ha permesso di apprezzarli, rispettarli e imparare da tutti loro.

Soprattutto nella politica, ma anche nel resto dei campi, viviamo in una società dominata dal fanatismo, che ci porta a prendere per buono solo il nostro punto di vista e disprezzare, sottovalutare e persino odiare, chi la pensa diversamente. Il mio supporto al Barcellona, per non uscire dall’ambito sportivo, non mi porta a esaltare eccessivamente le loro vicende, né a denigrare quelle del Real Madrid. Penso che ci farebbe bene iniziare a moderare le nostre passioni sportive, ed estendere lo stesso modo di pensare anche a tutti gli altri campi.

È giunto il momento di guardare indietro e ringraziare tutto ciò che questa professione mi ha dato. La mia gratitudine è rivolta a molte persone, più o meno anonime, che mi hanno accompagnato in questo viaggio per molti anni.

Ai membri del nostro staff, che iniziò a crescere con l’ingresso di Carlos Costa e poi con tutti gli altri, che so di non aver bisogno di nominare uno per uno. Li ringrazio tutti per la loro dedizione, il loro impegno, il lavoro svolto e, non ultima, la loro amicizia. La convivenza con loro mi ha arricchito enormemente come professionista e, naturalmente, come persona. Vorrei anche esprimere la mia gratitudine alla famiglia Fluxà per aver voluto unire il mio nome a Iberostar, azienda esempio di valori umani e di prestigio nel settore alberghiero.

A tutti i giornalisti stranieri e, soprattutto, spagnoli, che hanno mostrato tanto rigore quanto rispetto per la figura di mio nipote, e quindi anche per la mia. Non hanno iniziato a parlare male di noi quando per Rafael le cose si sono complicate. Da parte dei media abbiamo sentito molto di più l'incoraggiamento e la comprensione, piuttosto che l’intenzione di puntare il dito contro di noi quando abbiamo attraversato delle crisi nel gioco o degli infortuni.

Ai fan che sono venuti a vedere Rafael nei diversi tornei, che hanno acquistato i biglietti, che hanno interrotto il loro sonno per guardare le partite notturne, che hanno sostenuto, applaudito e sono stati entusiasti delle vittorie o delle sconfitte di Rafael. Il loro affetto e il loro sostegno lo hanno aiutato a sollevare molti trofei. La mia è una gratitudine immensa.

Infine, e in un modo speciale, devo ringraziare di cuore il massimo responsabile della mia fortuna: mio nipote Rafael. La relazione con lui è sempre stata stranamente facile visto il mondo in cui ci muoviamo. Grazie alla sua educazione, il suo rispetto e la sua passione, ho potuto trasmettergli il mio modo di intendere questa professione. Grazie a lui ho vissuto esperienze che hanno superato tutti i miei sogni di allenatore. Ho viaggiato al suo fianco verso località incredibili e ho incontrato e conosciuto persone di rilievo, provenienti da molti ambiti. Oggi mi sento molto apprezzato e amato, perché la sua figura ha valorizzato la mia, molto più di quanto meritassi.

Nel suo saggio “Todo lo que era solido”, riguardo a personaggi che occupavano cariche importanti prima della crisi, Antonio Munoz Molina diceva qualcosa di simile: “pensavamo che fossero arrivati lassù perché erano molto capaci e intelligenti, quando in realtà è spesso il contrario. È mentre sono lassù, che siamo arrivati a credere che siano molto capaci e intelligenti”. Vi lascio con questa massima per evitare qualsiasi sopravvalutazione della mia persona, e ritorno con i miei cari allievi a Manacor. Grazie di cuore.

Toni Nadal

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