A lezione dallo Scriba

Una giornata al Roland Garros in compagnia del mitico Gianni Clerici, ancora in formissima a quasi 87 anni. Fra perquisizioni ripetute e poco apprezzate, lo stop obbligato all'edicola, gente che lo ferma per una fotografia, il suo articolo che prima non c’è e poi parte ma non arriva, il serve&volley di Murray, l'incontro con Piatti, il caos sgradito sugli spalti, il serpente di Fognini e la finale di Champions League.
ROLAND GARROS – Dopo gli attentati terroristici che hanno colpito Parigi, al Roland Garros i controlli di sicurezza sono ai massimi livelli. Prima dell’ingresso bisogna aprire un paio di volte ogni genere di borsa e passare da altrettante perquisizioni, sia con apparecchi elettronici sia all’antica. Vale lo stesso per tutti, anche per “Pippo” Rossett, ex top-10 e campione olimpico a Barcellona ’92, che oggi lavora per la tv svizzera RTS. “State attenti che questo signore potrebbe nascondere una medaglia d’oro”, dice agli addetti alla sicurezza il mitico Gianni Clerici, una delle leggende del giornalismo (e non solo) italiano (e non solo), che malgrado gli 87 anni in arrivo a luglio di rinunciare agli Slam europei non ne vuole proprio sapere. Siamo in fila per la “palpation”, scherza, o forse no visto che si tratta di palpation a tutti gli effetti, tanto che a lui fanno togliere la giacca e alzano addirittura il cappellino bianco griffato Monte Carlo Rolex Masters. Abile e arruolato, anche oggi può entrare. Appena varcati i cancelli del Gate I, lo Scriba gira a sinistra. “Gianni, dobbiamo andare dall’altra parte”. “Eh no, io devo andare a comprare il giornale”. L’edicolante non gli chiede neanche quale quotidiano voglia, sa già che si tratta de La Repubblica, che da tantissimi anni ospita anche la sua penna. Mister Clerici, come lo chiamano a Newport dove è l’unico giornalista italiano nella storica Hall of Fame, molla 5€, ripone il resto nel borsellino, dà una sbirciata al Wall Street Journal ed è pronto per la giornata parigina.

Neanche il tempo di aprire la porta del Media Center che una voce lo chiama. “Signor Clerici, signor Clerici”. Si presentano due signori italiani, con in mano un bicchiere di Moët & Chandon, servito lì vicino in una delle zone vip del Philippe Chatrier. È un onore incontrarla – dice la signora – possiamo stringerle la mano?”. “Certo – replica Gianni col sorriso – anche se non credo serva a molto. Sono un povero vecchio. Dopo la stretta di mano si passa alla foto. “Abbiamo tutti i suoi libri”, dice invece il marito. “Venticinque?”. “Venticinque”. Due chiacchiere al media desk e su per le scale che portano alla sala stampa. “Ullalla che fatica”, dice. Due parole anche con un telecronista inglese, e via verso il suo desk, intorno agli altri giornalisti italiani. “Oggi quattro controlli, ma come si fa? Mi hanno anche guardato sotto al cappello. Ho mostrato a tutti la cravatta, gli ho chiesto se hanno mai visto un terrorista con la cravatta, ma mi hanno perquisito lo stesso”. Giusto il tempo di sedersi, ed è l’ora di pensare al tennis. “6-1 6-3 3-0, che bravo Cilic. Poi cosa c’è da vedere?”, chiede. “Murray-Del Potro, sta per iniziare”, rispondono dal desk accanto. “Ollalla, mica male”. Gli domandano un’altra foto. “Oggi siamo già a due, che inizio, dice prima di raccontare un aneddoto di quando vide Del Potro battere Federer nella finale dello Us Open. “A proposito di svizzeri: come si chiama Rosset?”. “Mark”. “È vero, che povero vecchio. Non sapevo come chiamarlo. Ahhh Clerici, Clerici, Clerici”.
Prima di andare in campo dà una sbirciata al giornale. “Devo controllare il mio articolo, perché ieri mi avevano chiesto 70 righe, ma poi hanno ridotto a 50. Allora gli ho detto ‘fate vobis’”. El ghe mia, el ghe mia, el ghe mia”, dice mentre sfoglia le pagine alla ricerca del suo “francobollo”, come lo chiama lui, lamentandosi del fatto che la caricatura usata al posto della sua firma gli sottragga qualche riga di testo. Il problema è che… il pezzo non c’è. Ma il motivo si scopre subito. “All’estero l’ultima pagina dello sport sparisce spesso. Ho anche chiesto quale sia il motivo, ma non me l’hanno saputo dire”. Dal posto vicino gli allungano un iPad, col suo pezzo in digitale. Una sbirciata (“hanno tirato via poca roba”) e se ne va, a chiacchierare di Brexit con un altro collega inglese. Ricompare dopo qualche minuto in tribuna stampa, non troppo felice per il vizio del pubblico di incitare i giocatori fra un punto e l’altro. Che li buttassero fuori”, sentenzia mentre Murray prende break ciccando un lob di rovescio. 2-1 Del Potro, Gianni sgrana gli occhi incredulo per l’errore e se ne va. Torna dopo pranzo, ma il duello dello Chatrier è talmente lungo che li trova ancora impegnati nel primo set, sul 2-2 del tie-break. “21 colpi, mamma mia”, dice prima che Murray venga inquadrato impegnato a dar voce al suo campionario di parolacce. “Vorrei avere l’elenco di tutte le sue bestemmie. Ci farei un articolo di grande interesse, che verrebbe sicuramente respinto. Oh, guarda, c’è anche Lendl. E anche Tiriac. A fianco del suo boxettino c’è quello di un mio amico, Pierre Barthès”. Il match va avanti, e Murray si inventa due serve&volley consecutivi. “Te capit? El va a ret. Serve&volley, minga mal”. In sala stampa compare Riccardo Piatti. Questo signore mi pare di conoscerlo”, scherza. “Tutto bene?”, chiede il coach di Milos Raonic, comasco come lui. “Mica tanto – replica Gianni – perché non sono venuto a Roma. Racconta del problema che l’ha tenuto lontano dagli Internazionali, e mentre Murray prende il largo scocca l’ora di Fabio Fognini, impegnato sul Suzanne Lenglen contro Stan Wawrinka.
Una bimba nel corridoio sotto il Lenglen piange nel passeggino. “O poerina”, e si ferma a consolarla, prima di prendere posto in tribuna stampa mentre Fognini prova i servizi. “Che brutta cosa, quel serpente sulla schiena”. Inizia il match, ed è subito 1-0 Wawrinka senza che parta mai lo scambio. “Bel game, tre risposte fuori”, dice mentre attorno a lui tutti hanno la testa ripiegata sul cellulare, fra appunti, social e chissà cos’altro. Gianni invece si limita a osservare il match in religioso silenzo, rammaricandosi di non aver portato con sé il suo quaderno (ma poi farà magicamente comparire un foglio e una penna da una tasca del giubbotto). Wawrinka inizia a sbracciare col rovescio, e Gianni ne mima l’esecuzione, poi Stan inizia anche a usare gli angoli col servizio: kick, botta al centro, botta a uscire, botta al centro. 2 ace. “Te vist? Mica male”. Un fotografo italiano lo nota e gli scatta un paio di foto, lui lo saluta togliendosi il cappello. Nel frattempo è 5-4 Fognini, che serve per il set. “Se non serve bene – sentenzia lo Scriba – questo game è difficile”. Fabio invece mette 6 prime su 8, ma il game lo perde comunque. Sul 6-5 il ligure recupera da 0-40 (“non avrei pensato”), ma poi manca altri tre set-point (uno con un diritto lungo: “si può giocare un diritto d’attacco, ma non rischiarlo così”) ed è jeu decisif. “Se perde questo set andiamo a prendere il thè”, dice col sorriso di chi sa già come andrà. Fognini pasticcia di diritto: 7-2 Wawrinka e tea-time. “Vado via, penso di non sbagliarmi, ormai credo non vinca più”. Rientra in sala stampa che Wawrinka è già sul 3-0 nel secondo. “Caspita, cammino così lentamente?”. In realtà è stato veloce Fognini, uscito completamente dal match. Gianni torna dopo il thé, e lo schermo dice 7-6 6-0 2-0. “Accidenti, ha perso 8 giochi di fila”. Quelli consecutivi resteranno otto, ma l'azzurro ne perderà presto altri quattro e anche il match.

Lo Scriba lancia un sondaggio fra i giornalisti italiani. La domanda è: cosa manca a Fognini? Vuol dire che verso le 17 è ora di iniziare a dipingere il francobollo del giorno. Le risposte sono svariate: qualcuno dice la testa, altri il servizio, altri ancora il killer instinct o un piano B in cui rifugiarsi quando le cose non vanno bene. Per risolvere i dubbi, una quarantina di minuti dopo Gianni lo chiede direttamente a Fognini, in conferenza stampa. Ma Fabio la prende sul ridere. “Dai, passiamo a cose più serie”, dice Gianni cedendo il microfono agli altri. Tornato dalla conferenza stampa cerca le statistiche del match, perché il foglio con gli appunti del primo set è miracolosamente sparito, forse rimasto sul Lenglen a vedere secondo e terzo set. Un’oretta di silenzio, qualche aiutino per ricordare i momenti chiave del match, una leccata al francobollo e la busta virtuale è pronta per La Repubblica di domenica. A Parigi piove, Gianni raccoglie le sue cose, porta il computer nel suo armadietto e si allontana per un po’. Torna verso le 19.30, e per scrupolo fa una telefonata al giornale. Alberto, sei riuscito a rimediare un titolo?”. La risposta è diversa da quella che si aspetta, perché il pezzo non è mai arrivato. “Ma caspita, io l’ho spedito. Va beh, vado a recuperare il computer e ve lo mando di nuovo. Detto, fatto. “Stavolta è arrivato? Bene, allora per oggi ho finito”. Alle 20.45 c’è la finale di Champions League, fra Real Madrid e Juventus. Gianni invita gli altri italiani nel suo appartamento, ma il pub è già prenotato da tre giorni. Allora si accoda lui. “Ragazzi, sempre se mi volete eh…”
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