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Marco Caldara
10 September 2018

La gente dubitava, ma «Nole» ci ha sempre creduto

PAROLA AL VINCITORE - Dopo il trionfo allo Us Open, Novak Djokovic confessa che dopo l'operazione al gomito non avrebbe mai pensato di vincere a Wimbledon e New York, anche se una parte di lui ha sempre avuto le idee ben chiare. "Sapevo che una volta risolto quel problema mi sarebbe bastato poco per tornare in alto". Aveva ragione.
Da giugno a settembre è cambiato tutto. Al termine del Roland Garros, dopo quell’incredibile sconfitta contro Marco Cecchinato, ci si chiedeva che ne fosse stato del vecchio Novak Djokovic, e c’erano seri dubbi sulle sue possibilità di vincere di nuovo un torneo del Grande Slam. Appena tre mesi dopo, invece, di Slam nel suo palmarés ne sono entrati altri due, e ora si parla di nuovo delle possibilità del campione di Belgrado di agguantare il record di Federer, ritoccato a quota 20 a gennaio a Melbourne. Una chance che sembra di nuovo concreta, perché col titolo a New York “Nole” ha fatto quattordici, perché gli storici rivali sembrano di nuovo un gradino sotto (Nadal per gli acciacchi, Federer per l’età), e perché i giovani non sono ancora pronti per vincere con continuità nei tornei più importanti. Come se non bastasse, grazie al titolo a New York e senza un solo punto da difendere da qui a gennaio, c’è addirittura la chance che il serbo possa tornare numero uno del mondo entro la fine della stagione. Argomenti di cui ha parlato durante la conferenza stampa post successo. Di seguito le sue dichiarazioni più interessanti.

“Se a febbraio, quando mi sono operato al gomito, mi avessero detto che dopo l’operazione avrei vinto Wimbledon, Cincinnati e lo Us Open sarebbe stato difficile da credere. Ma allo stesso tempo c’era una parte di me che ha sempre creduto che una volta sistemato il problema sarei tornato molto velocemente a giocare ai miei livelli soliti. Onestamente me l’aspettavo. Però ecco, mi ci sono voluti tre, quattro mesi. In quel periodo ho imparato molto di me stesso, imparando a essere paziente, aspetto che non mi è mai venuto benissimo. La vita mi ha insegnato che ogni situazione richiede il suo tempo”.

“Rispetto il passato, ma non mi piace molto guardarmi indietro, paragonare me stesso al Djokovic di qualche anno fa, e via dicendo. Il passato ci può insegnare molto, ma preferisco dedicare il mio impegno e la mia attenzione al presente. Il mio team lo sa, la mia famiglia anche. Non mi va di paragonare questo o quello a prima, preferisco andare avanti, lavorando duramente e con intelligenza. Da questo momento positivo spero di poter trarre il più possibile per il futuro”.

“Aver raggiunto i 14 titoli Slam di Pete Sampras è un sogno che si avvera. Lui è una delle leggende di questo sport, ed è stato il mio idolo d’infanzia. Il mio primissimo contatto con il tennis è stato quando ho visto alla TV uno dei suoi primi successi a Wimbledon, il primo o il secondo. È ciò che mi ha ispirato a giocare a tennis, quindi oggi essere spalla a spalla con lui ha un grande significato. Sono cresciuto augurandomi di poter essere un giorno come lui e ottenere i risultati che otteneva lui”.
“Dieci anni fa avrei detto di non essere contento di essere parte di un’era che comprende anche Federer e Nadal, mentre ora lo sono, veramente. Loro, e la rivalità con loro, mi hanno reso il giocatore che sono oggi. Ho un enorme rispetto per ciò che hanno fatto in campo, ma anche per il loro esempio fuori. Credo che ci siamo spinti tutti a vicenda al limite, ogni volta che abbiamo giocato uno contro l’altro. All’inizio contro di loro perdevo la gran parte dei match importanti, ma grazie a quelle sfide ho capito come migliorare il mio gioco, per poter iniziare a vincere più spesso”.

“Per riuscire a vincere tornei come questo serve tantissima energia, per innanzitutto dare a se stessi la possibilità di iniziare a competere in questi tornei. Vedo un sacco di ragazzi, ogni giorno. Condividiamo gli spogliatoi, la palestra. Si allenano in maniera durissima per guadagnarsi una possibilità, e questo mi spinge a lavorare ancora più duramente. Ma soprattutto, la chiave di tutto è la mia famiglia. Sono grato a mia moglie e ai miei figli per essere spesso con me, soprattutto nei tornei più importanti. Chiunque ha una famiglia sa quanto sia difficile stare lontano da casa una, due, tre settimane. Avere tutti qui con me mi permette di passare del tempo insieme a loro, e ricordarmi che il tennis viene dopo rispetto alla famiglia”.

“Il mio soprannome è Nole, quindi quando il pubblico incitava Del Potro cantando ‘ole, ole, ole, ole’, io sentivo Nole. Non mento, mi sono auto convinto che stessero gridando il mio nome, e quello il mio cervello sentiva. In ogni caso sono stati molto rispettosi. Credo abbiano creato una grande atmosfera, soprattutto nel secondo set, che è stato il più equilibrato. Anche io avevo tanti tifosi, e tutto lo stadio è stato molto coinvolto nella partita. Quando il tennis è chiuso, credetemi, il rumore diventa davvero ampio. Serve tanto impegno per restare concentrati, e non lasciarsi distrarre dall’ambiente. Sono fiero di esserci riuscito”.

“Adoro Serena, e penso che la situazione di ieri sia stata difficile da gestire per tutti, a causa delle tante emozioni. Piangeva lei, piangeva Naomi, è stato molto difficile. Nella mia personale opinione il giudice di sedia forse non avrebbe dovuto spingerla al limite, specialmente perché si trattava della finale di un torneo del Grande Slam. La sua decisione ha cambiato il corso del match, e forse non era necessaria. Tuttavia, credo non sia il momento e il luogo per avventurarsi in altri discorsi. Non la penso affatto come Steve Simon (il CEO della WTA ha dette che uomini e donne ricevono dai giudici di sedia un trattamento diverso, ndr). Credo che uomini e donne siano trattati in questo o quel modo in base alla situazione. È sempre difficile generalizzare”.
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