Com'è la qualità della vita a Dubai? Tennis a parte, consiglieresti di viverci? Un certo Roger Federer ci trascorre molto tempo...
Dubai non è per tutti. Qualcuno la definisce una città superficiale, ma concordo solo in parte. Gli Emirati Arabi sono uno stato molto giovane, di appena 45 anni. Gli expats arrivano da ogni parte del mondo. C'è un mix di culture che io trovo molto affascinante, mentre per altri è quasi fastidioso. Per intenderci: la maggior parte degli abitanti vengono dall'India. Il Paese è stato “costruito” da indiani e pakistani. Poi c'è una bella fetta di expats, la maggior parte britannici. Infine ci sono i locali, che però rappresentano il 5% della popolazione. Io ci sto bene, la trovo molto simile a Las Vegas, ad eccezione del gioco d'azzardo. Per il resto c'è sfarzo, colori... mi sento più o meno a casa. Ma non è paragonabile a qualsiasi città europea. Se si è abituati a uscire e trovarsi in piazza con gli amici, non esiste nulla di simile. La socializzazione avviene nei locali, mentre la vita all'aria aperta è quasi inesistente. C'è qualche passeggiata, soprattutto turistica, e poco altro. È qualcosa che può dar fastidio, ma io mi sono adattato bene. Certo, quando fai una passeggiata sui Navigli e bevi qualcosa con gli amici, fa tutto un altro effetto. A Dubai mancano alcune cose che per motivi religiosi e culturali non ci saranno mai. Consiglio di visitarla, però a livello tennistico ci sono altre città con più appeal.
Segui il tennis professionistico? Avevi idoli o punti di riferimento?
Il mio preferito era Andre Agassi. Mi sono appassionato al tennis grazie a lui, poi ho sempre apprezzato i “cavalli pazzi”, su tutti Goran Ivanisevic e Marat Safin. Tra le donne, riconosco alle sorelle Williams la capacità di aver cambiato le carte in tavola: prima il tennis era talento e lavoro, adesso si è aggiunto il lavoro in palestra. Hanno cambiato tutto. Per ragioni di fusi orari, non vedo molto tennis in TV. Quando ho tempo guardo gli highlights e cerco di tenermi informato, magari anche alla radio. Non è facile: dopo tante ore sul campo viene voglia di prendersi una pausa.
Il torneo di Dubai lo segui?
Sì, praticamente ogni anno. Mi aspettavo una location più grande, a partire dal campo centrale. È organizzato in modo fantastico: ben strutturato, nessuno sgarra, pulitissimo. Trovi i giocatori al tuo fianco al ristorante, ma nessuno si azzarda a essere indiscreto. Per questo, sono molto rilassati. Roger Federer ha il suo quartier generale a Marina Bay, ma da fine novembre in poi è pieno di giocatori che si preparano per la trasferta australiana: se vengono dall'Europa “tagliano” metà del fuso orario, le temperature sono più simili e i campi sono gli stessi dell'Australian Open. Trovare i professionisti nel campo accanto è molto interessante.
Ti manca l'Italia? Ogni volta che ci torni che sensazioni avverti, paragonandola alla tua realtà?
Con l'Italia ho un rapporto di amore-odio, da almeno da 10 anni. Sono venuto l'ultima volta in estate, tra Milano e la Sardegna. Le cose stanno un po' cambiando: è la prima volta che sono tornato a Dubai con un pizzico di nostalgia. Ho 33 anni, i miei amici iniziano a sposarsi e fare figli, i miei sono un po' più anziani... mi piacerebbe restare più a contatto con il mio paese. Tuttavia, non credo che sia il momento giusto per tornare, soprattutto per lavorare. Mi sembra una nazione in crisi, un po' allo sbando... non voglio entrare nel merito, ma appena varchi il confine scopri che è tutto un altro mondo. E allora ti fai delle domande, ti chiedi come mai l'Italia si sia ridotta così. Mi dispiace molto, ma oggi non riuscirei a tornare ed essere felice.
Però la tua situazione attuale a Dubai non sembra definitiva.
No, anche perché a Dubai è molto difficile trovare qualcosa di definitivo. La maggior parte degli expats sono di passaggio. Si fermano al massimo 10 anni, poi tornano nel loro paese. Ma ci sono tante cose buone: niente tasse, sicurezza, ottimi stipendi... quello che guadagno qui, in Italia non potrei neanche sognarmelo. A fine mese si può sorridere, il duro lavoro paga. Forse manca un buon livello agonistico: il tennis non è visto come qualcosa di impegnativo. Si gioca 1-2 volte a settimana, ma non esiste chi si applica tutti i giorni, 3-4 ore al giorno, con preparazione atletica. Queste cose non ci saranno mai, se non a livello privato. Ho un amico che fa da coach a due ragazzi russi, che però sono sponsorizzati da un padre milionario. Capita di trovare famiglie super benestanti che possono permettersi certi lussi, altrimenti il tennis è un'attività da doposcuola per i ragazzini, o per chi lavora e vuole fare un po' di attività fisica.