Da parte sua, Giordano ci informa che l'argomento top-50 è noto all'ATP. “Durante una riunione con i direttori dei vari Challenger, tenutasi a Monte Carlo, è venuta fuori l'idea di obbligarli a giocare un paio di Challenger all'anno”. Per adesso, si è concretizzata solo in parte. Da parte sua, Carlo Alagna è un forte sostenitore della riduzione dei tabelloni. “Tutta la vita il tabellone a 16. Non esiste che un torneo duri 9 giorni, quando l'interesse c'è soltanto nel weekend finale. E lo stesso discorso vale anche per gli ATP 250. Personalmente farei durare il torneo 5 giorni, con le qualificazioni in un altro club, se proprio si devono fare. Mi sono piaciute le novità delle Next Gen Finals perché darebbero la possibilità di giocare due partite in un giorno. Bisogna snellire. Io organizzo eventi di altri sport e non c'è paragone: conosco il tennis e le sue tradizioni, ma stare in ballo 9 giorni non ha senso. Le Olimpiadi ne durano 16!”. Monesi condivide il principio, ma è scettico sulla riduzione della durata. “Si può pensare al format a 16 giocatori, ma non ridurrei la lunghezza del torneo. Una settimana è il tempo necessario per stabilizzarsi. Vedo dei pro e dei contro: si ridurrebbero i costi, ma si perderebbe qualcosa su altri aspetti. Non so se è la strada giusta”. Più morbida la visione di Giordano. “Il tabellone a 32 va bene, ma ridurrei a 16 quello delle qualificazioni. Già adesso capita di avere diversi bye e alcuni match senza alcun valore agonistico”. Insomma, sulle prime pagine ci finiscono altre realtà, ma il sottobosco dei Challenger è vivace e appassionato, pieno di idee, e con cifre importanti in ballo. Su una cosa, tutti sono d'accordo: è complicato capire cosa succederà sul breve e medio periodo. “Difficile dirlo – conclude Marcello Marchesini – tre anni fa l'ATP mi chiamò perché erano saltati un paio di tornei in Turchia per motivi di ordine pubblico, chiedendomi se riuscivo a mettere in piedi qualcosa in Italia, magari indoor. Oggi, invece, vogliono ridurre. Io mi auguro che sia premiato chi lo fa di mestiere e promuove il tennis per 12 mesi all'anno, piuttosto che un semplice circolo tennis, soggetto ai cambi dirigenziali”. Marco Fermi, pur trovandosi in una buona posizione (anche nel 2018, Bergamo usufruirà del contributo ATP per sostenere l'innalzamento di montepremi), è un po' disilluso. “Non mi sembra che l'ATP sostenga i tornei Challenger come potrebbe: a volte ho la sensazione che certe tutele non ci vengano riconosciute: alla fine, organizzare un Challenger è come un ATP, con la differenza che è più difficile trovare le risorse economiche. Un po' di sostegno in più sarebbe ben accetto”. Pur mantenendo l'entusiasmo iniziale, Marco Monesi ha una visione chiara della situazione globale. “Ci saranno meno tornei perché l'ATP vuole più qualità e garantire più guadagni ai giocatori. Non credo che tutti riusciranno ad andare avanti: noi siamo alla finestra per cercare di capire cosa vogliono e quali garanzie offriranno. Brescia è sempre in cerca di partner e sponsor che credano al nostro progetto: siamo già al lavoro per trovare un strategia che porti più pubblico. Vogliamo consolidarci, ma anche crescere: ci piacerebbe salire di livello, restare fermi è sempre pericoloso”. Tutti gli appassionati del sud sperano che Caltanissetta porti avanti la sua favola, anche se nel 2018 il presidente del club Michele Trobia, motore trainante dell'impianto organizzativo, lascerà l'incarico. “Ogni anno è una lotta per trovare le risorse – ammette Giordano – a Caltanissetta non ci sono troppe aziende floride, quindi capita di rivolgerci a potenziali partner fuori dal circondario. Ogni anno riusciamo a farcela, siamo fiduciosi ma ammetto che è difficile. Più in generale, noto un bel fermento: ho ricevuto chiamate da altri circoli che chiedevano consigli e suggerimenti su come organizzare”. I più ottimisti sono Alagna e Saldini: “Difficile capire cosa succederà, ma non credo che ci sarà una riduzione – dice Alagna – con la ripresa economica, penso che si possa mantenere questo trend positivo”. “Io sono abbastanza fiducioso – conclude Saldini – non sempre è facile adeguarsi alle richieste organizzative dell'ATP, perché se non le rispetti possono esserci delle conseguenze, però da parte loro avverto il desiderio di sostenete i Challenger, perché sono un trampolino di lancio importante. Proprio come il nostro torneo è stato per Novak Djokovic”. Se chi ha vinto 12 Slam è passato da un piccolo centro come Manerbio, significa che i tornei Challenger hanno senso. Magari può essere un rischio economico, specie senza l'oculatezza evocata da Cino Marchese. Oggi come oggi, organizzare un Challenger non è la cosa più semplice o sicura del mondo, però è una bella scommessa. Con la buona volontà di tutti, tuttavia, è possibile migliorarli e renderli più appetibili. Potenzialmente possono anche essere una fonte di business, e non solo per i tennisti. Gli organizzatori lo auspicano: ci arriveremo?