Tra una riflessione e l'altra, Marco Monesi getta sul tavolo una frase che fa riflettere: “Recuperare le risorse è difficile, mentre spenderle è molto facile”. Per quasi tutti, l'aspetto più complicato sotto il profilo organizzativo è il reperimento dei fondi. Ma se ogni realtà deve fare i conti con le risorse del proprio territorio, esistono introiti fissi. Da una parte l'ATP, dall'altra la FIT. Da qualche anno, i tornei Challenger vantano una bella copertura streaming che diffonde le immagini – gratuitamente – in tutto il mondo. L'ATP acquisisce i diritti streaming e, in cambio, offre un sostanzioso contributo che serve anche a coprire le spese per i servizi informatici, a partire dai livescore. La cifra si attesta sui 16.000 euro, voce di entrata molto importante per tutti i tornei. Quasi tutti i nostri interlocutori ne sono entusiasti: “Due anni fa, un grande colpo di Dustin Brown ha fatto il giro del mondo, diventando virale su Youtube, e dando grande visibilità al nostro torneo – dice Marco Fermi – tutto questo è stato possibile grazie allo streaming. Da organizzatore non posso sottovalutare l'aspetto economico, ma sarei disposto a incassare di meno pur di mantenere questa visibilità su scala globale, anche perché è un punto di forza al momento di reperire le sponsorizzazioni”. Sulla stessa lunghezza d'onda Marco Monesi: “Lo streaming funziona anche perché non è in nessun modo invasivo: il personale ha direttive ben precise a inizio torneo, poi non dà alcun disturbo all'organizzazione e garantisce una bella visibilità, spendibile a livello di sponsor”. Diverso il parere di Alagna. “Ok, va in tutto il mondo, ma non sono convinto che il logo di uno sponsor sia così visibile con una telecamera fissa. Lo puoi fare presente a un potenziale partner, ci mancherebbe, ma nello streaming vedo principalmente un vantaggio economico diretto e non indiretto. Aiuta, ma non lo trovo determinante. Secondo me, la cosa importante è la TV”. Milano e Caltanissetta sono gli unici Challenger italiani ad aver mantenuto la diretta TV per la finale, su SuperTennis. Ma se lo streaming rappresenta un guadagno, la TV è un costo. “Ma non trovo corretto rinunciare alla vetrina di SuperTennis – prosegue Alagna – secondo me un evento deve andare in TV, altrimenti perché investire così tanto? Per chi lo fai? Se lo vedono solo 400 persone è un evento minore, lo svilisci. Al momento di fare il budget, se c'è da tagliare una spesa, la TV è l'ultima voce da sacrificare. Anche a tutela degli sponsor che fanno sforzi e sacrifici importanti”. Un paio di settimane prima di Milano, si gioca il torneo di Caltanissetta. Anche gli organizzatori nisseni hanno scelto di andare in TV. “Gli introiti dello streaming sono una grossa risorsa, anche se noi li investiamo per avere la diretta TV su SuperTennis. È un costo notevole, ma per noi è una questione di immagine. In questo modo il torneo viene pubblicizzato e ci consente di gestire la moltitudine di pubblico: siamo un circolo piccolo, spesso non riusciamo a contenere tutti quelli che arrivano. Il giorno della finale il pubblico è straripante, ci tocca chiudere il cancello. La TV consente di far conoscere Caltanissetta e il nostro club. Sono soldi decisamente ben spesi”. Se Bergamo e Manerbio hanno scelto la soluzione “ibrida”, ovvero la trasmissione in differita di semifinali e finale (Bergamo ha la diretta integrale delle ultime due giornate su Bergamo TV, che ha un'ottima penetrazione in tutta la Lombardia), Brescia ha rinunciato all'esperimento televisivo. “La televisione rappresentava un costo – racconta Monesi – chi realizzava il prodotto richiedeva un contributo. Evidentemente, i Challenger non hanno ancora l'appeal sufficiente per giustificare un investimento del broadcaster. La messa in onda era diventata una voce di spesa troppo grossa: con la stessa cifra, abbiamo optato per un investimento importante sul territorio con l'acquisto di visibilità su giornali, radio e social network. In questo momento la TV è in secondo piano: ci si può arrivare con una situazione più evoluta”.