Esclusivo: The Ultimate Challenge! (Pt. 2)

Organizzare un torneo ATP Challenger è una grande sfida, tra richieste sempre più pressanti e regole che talvolta impediscono di migliorare il contenuto dell'evento, cioè di creare un cast di giocatori adeguato. Abbiamo parlato con alcuni degli organizzatori più esperti e cercato di capire presente, e soprattutto futuro, di questi tornei, che restano fondamentali per il movimento (PARTE 2)

THE ULTIMATE CHALLENGE! (Parte 1)

La passione è importante, ma a muovere il mondo resta il vil denaro. A parte il montepremi (oscillante tra i 43.000 e i 127.500 euro), organizzare un Challenger costa parecchio. Non tutti hanno voglia di parlare dei conti del loro torneo: Tennis Italiano è comunque in grado di offrirvi il dettaglio delle spese – voce per voce – di un torneo da 43.000 euro di montepremi che non si limita al “compitino”, ma offre qualcosa di interessante sia al pubblico che agli sponsor. Vi rimandiamo allo schema in queste pagine: ciò che colpisce è come si arrivi facilmente ai 175.000 euro di spesa. “Anche se il valore è ancora maggiore – ci segnalano – perché nel conto economico non trovano spazio i vari scambi merce che possono valere anche 100.000 euro”. In generale, stando bassi, organizzare un Challenger costa il triplo del montepremi. Mai di meno, spesso molto di più. L'organizzazione deve essere attenta, studiata al dettaglio, professionale. Cambiano solo le cifre, ma gli sforzi e le competenze richieste sono le stesse di un torneo ATP. Ma ne vale la pena? Si riesce a creare business, o almeno non immergersi in un bagno di sangue economico? “Nei primi anni abbiamo pagato un po' di inesperienza – dice Marco Fermi, parlando del torneo di Bergamo – ci fu qualche errore nel mettere sotto contratto i fornitori. Abbiamo sostenuto costi che con il tempo abbiamo ridotto o eliminato. Abbiamo avuto edizioni in passivo, altre in pari, altre in attivo. Dopo 12 anni, direi che siamo sostanzialmente in pareggio”. È soddisfatto del suo business Marcello Marchesini: “I nostri tornei vanno bene. Todi è il più longevo, con le sue 11 edizioni. L'ATP ci aveva proposto un contributo per aumentare il montepremi, ma lo abbiamo lasciato così. Per fortuna abbiamo aziende e sponsor importanti che ci sostengono e chiedono visibilità anche su Todi. Non tutti i tornei possono vantare una compagnia aerea come title sponsor. Diciamo che siamo soddisfatti”. Pur essendo realtà molto diverse, sia Manerbio che Caltanissetta chiudono il bilancio in parità. “Il nostro conto è perfettamente in pareggio – dice Saldini – abbiamo la fortuna di avere un title sponsor come Dimmidisì che, se manca qualcosa, non si tira indietro e ci consente di chiudere in pari”. “Quando organizzavamo i Satelliti e Futures chiudevano in attivo – dice Giordano – negli anni, abbiamo investito gli utili sul circolo, migliorando le strutture. Da quando c'è il Challenger, ci sono molte più spese. Adesso chiudiamo in pareggio, o con perdite minime”. Le cose vanno bene alla Makers Eventi, la società di Carlo Alagna che organizza il torneo di Milano. “Non siamo mai andati in perdita, nemmeno in pari. Abbiamo vissuto tanti utili: negli ultimi anni il guadagno si è assottigliato, ma c'è sempre stato. La sostenibilità di un torneo dipende dal soggetto organizzatore: se fa business con altre attività può anche permettersi un passivo, ma se organizza per professione non può accettare di perdere. Magari all'inizio si, ma dalla terza-quarta edizione bisogna iniziare a guadagnare. Dipende: magari puoi andare avanti con 100.000 euro di passivo, oppure fare default con appena 1.000”. Dei tornei presi in esame, il più giovane è Brescia. Nato nel 2014, ha appena vissuto la quarta edizione. “Siamo partiti con grandi investimenti di tempo, passione e denaro – spiega Monesi - All'inizio c'è stato qualche passivo, ma adesso il progetto inizia a dare i suoi frutti grazie a un buon lavoro sul territorio e un prodotto di qualità. Oggi raccogliamo adesioni importanti dagli sponsor: ad oggi, sembra che il torneo piaccia più agli sponsor che al pubblico. La prima edizione è andata forte, c'è stato un calo nella seconda e poi ha ripreso leggermente a salire. Stiamo riflettendo sui dati per cercare di capire quale può essere il format migliore per una realtà come Brescia”.

Tra una riflessione e l'altra, Marco Monesi getta sul tavolo una frase che fa riflettere: “Recuperare le risorse è difficile, mentre spenderle è molto facile”. Per quasi tutti, l'aspetto più complicato sotto il profilo organizzativo è il reperimento dei fondi. Ma se ogni realtà deve fare i conti con le risorse del proprio territorio, esistono introiti fissi. Da una parte l'ATP, dall'altra la FIT. Da qualche anno, i tornei Challenger vantano una bella copertura streaming che diffonde le immagini – gratuitamente – in tutto il mondo. L'ATP acquisisce i diritti streaming e, in cambio, offre un sostanzioso contributo che serve anche a coprire le spese per i servizi informatici, a partire dai livescore. La cifra si attesta sui 16.000 euro, voce di entrata molto importante per tutti i tornei. Quasi tutti i nostri interlocutori ne sono entusiasti: “Due anni fa, un grande colpo di Dustin Brown ha fatto il giro del mondo, diventando virale su Youtube, e dando grande visibilità al nostro torneo – dice Marco Fermi – tutto questo è stato possibile grazie allo streaming. Da organizzatore non posso sottovalutare l'aspetto economico, ma sarei disposto a incassare di meno pur di mantenere questa visibilità su scala globale, anche perché è un punto di forza al momento di reperire le sponsorizzazioni”. Sulla stessa lunghezza d'onda Marco Monesi: “Lo streaming funziona anche perché non è in nessun modo invasivo: il personale ha direttive ben precise a inizio torneo, poi non dà alcun disturbo all'organizzazione e garantisce una bella visibilità, spendibile a livello di sponsor”. Diverso il parere di Alagna. “Ok, va in tutto il mondo, ma non sono convinto che il logo di uno sponsor sia così visibile con una telecamera fissa. Lo puoi fare presente a un potenziale partner, ci mancherebbe, ma nello streaming vedo principalmente un vantaggio economico diretto e non indiretto. Aiuta, ma non lo trovo determinante. Secondo me, la cosa importante è la TV”. Milano e Caltanissetta sono gli unici Challenger italiani ad aver mantenuto la diretta TV per la finale, su SuperTennis. Ma se lo streaming rappresenta un guadagno, la TV è un costo. “Ma non trovo corretto rinunciare alla vetrina di SuperTennis – prosegue Alagna – secondo me un evento deve andare in TV, altrimenti perché investire così tanto? Per chi lo fai? Se lo vedono solo 400 persone è un evento minore, lo svilisci. Al momento di fare il budget, se c'è da tagliare una spesa, la TV è l'ultima voce da sacrificare. Anche a tutela degli sponsor che fanno sforzi e sacrifici importanti”. Un paio di settimane prima di Milano, si gioca il torneo di Caltanissetta. Anche gli organizzatori nisseni hanno scelto di andare in TV. “Gli introiti dello streaming sono una grossa risorsa, anche se noi li investiamo per avere la diretta TV su SuperTennis. È un costo notevole, ma per noi è una questione di immagine. In questo modo il torneo viene pubblicizzato e ci consente di gestire la moltitudine di pubblico: siamo un circolo piccolo, spesso non riusciamo a contenere tutti quelli che arrivano. Il giorno della finale il pubblico è straripante, ci tocca chiudere il cancello. La TV consente di far conoscere Caltanissetta e il nostro club. Sono soldi decisamente ben spesi”. Se Bergamo e Manerbio hanno scelto la soluzione “ibrida”, ovvero la trasmissione in differita di semifinali e finale (Bergamo ha la diretta integrale delle ultime due giornate su Bergamo TV, che ha un'ottima penetrazione in tutta la Lombardia), Brescia ha rinunciato all'esperimento televisivo. “La televisione rappresentava un costo – racconta Monesi – chi realizzava il prodotto richiedeva un contributo. Evidentemente, i Challenger non hanno ancora l'appeal sufficiente per giustificare un investimento del broadcaster. La messa in onda era diventata una voce di spesa troppo grossa: con la stessa cifra, abbiamo optato per un investimento importante sul territorio con l'acquisto di visibilità su giornali, radio e social network. In questo momento la TV è in secondo piano: ci si può arrivare con una situazione più evoluta”.

Tornando in tema di contributi, un'altra voce importante arriva dalla Federazione Italiana Tennis. La formula è semplice: la FIT “acquista” alcune wild card e le lascia gestire al settore tecnico. In cambio, arriva un importante sostegno economico. Fino a qualche tempo fa, la FIT versava il contributo interamente in contanti. Da un paio di stagioni, ha iniziato a diversificarlo: prima offrendo i buoni per portare i ragazzi ai Centri Estivi, poi con la cessione di biglietti per gli eventi internazionali. In virtù di questo, il contributo cash è sensibilmente diminuito. I nostri interlocutori sono restii a parlare di cifre, almeno per quanto riguarda il contributo diretto. Detto che i tornei del centro-sud ottengono biglietti per gli Internazionali BNL d'Italia e quelli del nord hanno ricevuto i tagliandi per le Next Gen ATP Finals, quasi tutti hanno avuto difficoltà nel monetizzarli. Il più soddisfatto è Marchesini: “In precedenza ci davano solo soldi, adesso riceviamo un pacchetto di biglietti per gli Internazionali d'Italia. Ci sta bene. Non abbiamo problemi, anzi, ci aiuta a fare promozione nei circoli dove promuoviamo i nostri Challenger”. Per gli altri è stato più complicato. “I buoni per i Centri Estivi non erano utili per noi, perché la Olme Sport è un'associazione costruita solo per il nostro torneo – dice Marco Fermi – adesso si sono aggiunti i biglietti per le Next Gen Finals, ma non siamo riusciti a valorizzarli troppo, pur proponendoli a una cifra inferiore, forse perché non abbiamo una forza mediatica paragonabile a quella della FIT”. “Noi li abbiamo usati come strumenti per promuovere il torneo, ma è qualcosa che non si può contabilizzare – prosegue Monesi – è un aiuto che fa piacere, ma forse sarebbe meglio acquistare i biglietti e mandare i ragazzi ai Centri Estivi soltanto se nei hai effettivamente bisogno”. Anche Manerbio ha faticato a rivendere i biglietti per le Next Gen Finals: prevedibile, visto che si tratta di una realtà con meno di 15.000 abitanti. “Vendere i biglietti non è un'operazione facile, però applaudo la cessione delle wild card alla FIT – dice Saldini – fino a 5-6 anni fa le gestivamo in autonomia e poteva essere un problema. Adesso va molto meglio, poi fa piacere accogliere i ragazzi italiani più promettenti”. Trovandosi in Sicilia, Caltanissetta ha avuto un buon gruzzolo di biglietti per gli Internazionali di Roma. “Ovviamente preferiremmo avere soltanto contanti, però i soldi che vanno ai ragazzi per i Centri Estivi sono una cosa positiva – aggiunge Giorgio Giordano – la cessione dei biglietti non ha avuto molto successo, perché li abbiamo avuti a ridosso del torneo e molti si erano già organizzati per contro proprio. Applicando un piccolo sconto, siamo riusciti a vendere circa il 50% di quello che abbiamo ricevuto”.

(PARTE 2 - CONTINUA)

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