Ciò che colpisce del Progetto-Berrettini è la serenità. Non sempre un giovane – specie se italiano – cresce in un ambiente dove è lecito scherzare. A un certo punto, con il registratore acceso, coach Vincenzo Santopadre dice che la collaborazione con Umberto Rianna è un po' complicata. “A lui interessa solo il risultato, gliel'ho detto tante volte ma proprio non troviamo un punto d'incontro. Ne ho parlato anche con Sergio Palmieri e non sa cosa dire... “. Vincenzo si accorge dello sguardo perplesso dell'interlocutore. Spunta una nuvoletta che sembra dire: “Ma lo sai che il registratore è acceso?”. Lui si scioglie in un sorriso e dice: “Ci avevate creduto, eh?”. L'aneddoto spiega bene il clima che abbiamo trovato al Circolo Canottieri Aniene. Un tiepido sole di fine autunno accoglie l'ennesima giornata di lavoro, un richiamo tecnico-atletico in cui Matteo ha trovato uno sparring d'eccezione nel fratello minore Jacopo, pure lui aspirante professionista. A colloquio con Tennis Italiano, Matteo mostra una qualità importante: l'empatia. Lascia intendere ambizioni importanti, ma senza mai risultare presuntuoso. La serenità può fare miracoli.
Nel 2017 hai vinto 43 partite, di cui 35 nel circuito Challenger. Te lo aspettavi?
Non proprio. Se mi avessero predetto l'ingresso tra i top-120, l'avrei ritenuto un obiettivo molto difficile. Però significa che il nostro lavoro, dalla preparazione invernale in poi, è servito. Ho avvertito un primo click a Brescia 2016, quando ho perso una partita molto tirata contro Lukas Lacko. Si poteva pensare che la superficie molto veloce livellasse un po' tutto, ma poi c'è stata la conferma ad Andria. In quel momento ho capito che avrei potuto essere competitivo nei Challenger. Il 2017 è partito bene, dopodiché ho provato a incrementare il livello. In conclusione... sì e no. Magari te lo senti, ma un conto è pensarlo, un altro è riuscirci.
L'impressione è che i 6 mesi di stop dell'anno scorso, per il problema al ginocchio, siano stati l'origine del tuo salto di qualità. Hai sempre sottolineato l'importanza di quello che ha fatto Vincenzo Santopadre, portandoti in campo con i bambini. Cosa hai capito in quei momenti?
In effetti sono stato bravo a “sfruttare” gli infortuni per tornare più forte, più carico e pronto fisicamente. In piena attività è complicato fermarsi per seguire un progetto o qualcosa di nuovo. Sono stati 6 mesi durissimi: ne parlo come un'esperienza formativa, ma non vorrei mai ripeterla! Ero lontano dal campo, avevo perso le sensazioni di gioco, vedevo gli altri giocare... tuttavia, sono stato bravo a restare tranquillo e sereno. Vincenzo mi ha detto che questo stop non avrebbe influito in alcun modo sulla mia carriera, se non in modo positivo. La famiglia non mi ha mai abbandonato, inoltre in quel periodo mi sono fidanzato: mi trovo molto bene con la mia ragazza, mi ha trasmesso grande fiducia. Sono stato parecchio a Roma e ho avuto l'opportunità di fare una vacanza, come non mi capitava da parecchio. Mi è anche capitato di seguire mio fratello in un paio di tornei. Con i bambini mi è capitato di notare dettagli su cui solitamente non mi soffermo, e allora mi sono fatto qualche domanda: “Come mai a 15 anni facevo così? Quali erano le mie motivazioni?”. Il mio mental coach Stefano Massari mi ha chiesto il momento in cui è scattato qualcosa. Appena ho ricominciato, Vincenzo mi disse di avermi visto ben centrato fisicamente. Mi ha colpito molto, perché lui non parla a vanvera. Se fa un complimento, vuol dire che è reale. Ho capito che tutta la fatica che avevo fatto era servita. In effetti, quando ho ripreso a giocare, mi sono sentito come se non avessi mai smesso. E poi, si sa, le cose succedono un po' perché devono succedere, un po' perché le vuoi veramente. Al rientro, non ho potuto giocare la finale a un Futures perché mi si è infiammata la spalla dopo la semifinale, poi mi si è storta una caviglia... ma non mi sono mai perso d'animo.
5 anni fa, Gianluigi Quinzi e Filippo Baldi vincevano la Davis Cup Junior. Tu che facevi in quel periodo? Avresti mai detto che oggi saresti stato nettamente avanti rispetto a loro?
Nell'estate 2012 ero impegnato in alcuni tornei di Tennis Europe, peraltro con discreti risultati. Poi andai ai Campionati Italiani Under 16, a cui Filippo non partecipò perché aveva conquistato i primi punti ATP. Questa cosa mi impressionò, la vedevo piuttosto lontana. Ero contento per i loro successi, ma era inevitabile avvertire la distanza. L'anno dopo, Gianluigi ha vinto Wimbledon Junior e io giocavo i “Grade 5” nei luoghi più sperduti. Tuttavia, sin da quando sono piccolo, ho sempre pensato al futuro e ai progetti al lungo termine. Ho sempre cercato di adottare una modalità di gioco per arrivare ai massimi livelli. Non ho mai voluto focalizzarmi sul risultato Under 16, semmai di utilizzare ogni esperienza per crescere. Non è stato facile, ma è la mia mentalità ancora oggi. Dopo la sconfitta in finale a Istanbul, Vincenzo mi ha detto che era quasi più contento che avessi perso. Preferisce che io perda ma impari qualcosa, piuttosto che una vittoria fine a se stessa. È sempre stata la nostra filosofia.
Ma tu non hai avuto la chance di fare parte di quella squadra? Ti stava davanti anche Stefanini?
Sì sì, a livello Under 16 sì.
Vincenzo Santopadre sottolinea spesso l'importanza di uscire dalla comfort zone: giocare il più possibile fuori dall'Italia e su diverse superfici, anche a costo di scelte meno comode. Quest'anno lo hai fatto in modo egregio: sei pronto a fare altrettanto nel 2018? Sei pronto a giocare tante qualificazioni ATP a costo di non migliorare la classifica?
Stiamo lavorando per questo. Vogliamo aumentare ancora il livello: non dico che voglio abbandonare i Challenger, sono pur sempre tornei duri e formativi, ma voglio fare più esperienze possibili nei tornei ATP. La classifica me lo consentirà, poi è un po' il sogno di tutti giocare i tornei più grandi. Quest'anno ho giocato solo tre volte a livello ATP, ma mi sento pronto. La classifica è importante, ma ripeto: il mio obiettivo è aumentare il livello.