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Djokovic e il canto che fa infuriare l'ambasciatore kosovaro

Djokovic e compagni attaccati da un'ambasciatore kosovaro per aver cantato una canzone popolare dopo il trionfo in ATP Cup. Edon Cana ha definito Nole: "Primitivo e retrogrado". La replica di papà Srdjan: «amiamo il nostro paese, non odiamo gli altri».

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Foto Ray Giubilo

Un tweet di un ambasciatore per una canzone di troppo ha acceso delle polemiche sul successo della Serbia nella prima edizione dell'ATP Cup. Edon Cana, ambasciatore del Kosovo in Bulgaria ha attaccato Novak Djokovic e i suoi compagni di squadra nei momenti che hanno seguito la finale di Sydney. Il gruppo serbo è reo di aver cantato "Vidovan", canto folkloristico del 1989. La canzone molto popolare in Serbia rievoca il 600° anniversario di quella che in Italia è conosciuta come "Battaglia della Piana dei Merli". La canzone in sé celebra la vittoria dell'alleanza dei regni serbi contro l'esercito Ottomano, ma a far discutere è un passaggio della canzone: "Nessuno può strappare il Kosovo dalla mia anima". Questa frase visti i rapporti attuali tra Serbia e Kosovo si può prestare ad un'interpretazione di carattere politico.

L'ha sicuramente intesa così l'ambasciatore Cana che ha attaccato Djokovic su Twitter: "Puoi aver vinto l'ATP Cup ma rimani primitivo e retrogrado. Sei un nazionalista e sciovinista dei Balcani - Lo sfogo dell'ambasciatore che ha ritenuto il canto superfluo e fuori contesto - Non è un caso che tra i campioni della storia del tennis tu sia uno dei meno amati".

La verità, che piaccia o meno, è che la posizione del campione di Belgrado rispecchia quella della maggioranza della popolazione serba. Cosa pensa Djokovic delle dispute con il Kosovo è noto dal 2008, anno in cui Pristina e dintorni ottennero l'indipendenza. "Il Kosovo fa parte della Serbia e sarà sempre così. Sono addolorato e triste come tutti i miei connazionali - fu il commento di Nole dopo i fatti del 17 febbraio 2008 - Tutti prevedevano sarebbe successo, ma per me il Kosovo è semplicemente il cuore del mio paese". Una questione di famiglia per il tennista che al tempo aveva da poco vinto a Melbourne il primo slam della carriera: "Mio padre e mio zio sono nati in Kosovo. Gran parte della mia famiglia ha vissuto lì per 30 anni". A quasi dodici anni dall'indipendenza del territorio kosovaro i pensieri dell'ex numero uno del mondo sono rimasti invariati come sono tutt'ora aspri i rapporti che la Serbia il territorio a sud.

Foto Izbor za bolji zivot Boris Tadic CC SA 2.0

Cana non ha ricevuto una replica da Novak, ma si è dovuto accontentare di quella di Srdjan Djokovic, padre del campione serbo. Un chiaro intervento in un programma televisivo ha sostanzialmente ribadito la posizione presa in passato dal tennista. "Noi amiamo la nostra gente e il nostro paese, non è una cosa di cui dobbiamo vergognarci - spiega Srdjan che poi ci tiene a precisare - Noi non odiamo gli altri paesi e i loro cittadini, però per noi il nostro paese sarà sempre terra santa. Noi saremo sempre dalla parte del nostro paese e della nostra gente che è in Kosovo". La frase che mette fine all'intervento riassume alla perfezione il pensiero comune serbo: "Il Kosovo è il cuore della Serbia e lo sarà anche tra 10, 20, 100 o 1000 anni. Questo non cambierà mai".

I problemi politici spesso hanno ripercussioni nello sport e di certo non è la prima volta che Serbia e Kosovo hanno dispute di questo tipo. Tra i vari casi fece scalpore nel 2018 il divieto d'accesso imposto dalla Serbia agli atleti kosovari che si stavano dirigendo a Novi Sad per partecipare all'Europeo di karate. Più recente - ottobre 2019 - il caso della Stella Rossa Belgrado, la squadra più titolata di Serbia era diretta verso la trasferta di Trepca prima dello stop imposto dalla polizia kosovara al valico di frontiera di Jarinje. Due casi a parti invertite con un esito in comune, la sconfitta dello sport.

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