27 October 2012

SCANDALO SCOMMESSE!

Il Tribunale dello Sport di Losanna ha radiato a vita David Savic per istigazione alla corruzione. Ma chi sono gli altri giocatori coinvolti? Federico Ferrero

Marcos Baghdatis, David Savic e Alexandr Dolgopolov 

Di Federico Ferrero 
  
La lettura delle 27 pagine dell’appello perso dal tennista serbo David Savic davanti al Tribunale dello Sport di Losanna è a dir poco inquietante. Savic è, anzi, era un giocatore di seconda fascia, miglior classifica numero 363 al mondo, squalificato nello scorso autunno per istigazione alla corruzione. Il suo ricorso al TAS ha confermato la pena: radiazione.
Ora la cancelleria del tribunale ha pubblicato il dispositivo e le motivazioni della sentenza, parzialmente censurate a pennarello nero per preservare la riservatezza di terzi non imputati. Attori che non sono, come in prima battuta si poteva presumere, professionisti di basso livello che si dedicano alla compravendita di match in torneini dimenticati da Iddio (non che sia meno grave eticamente): no, questo Savic è stato squalificato perché faceva l’agente corruttore conto terzi nel tennis di élite.

LA SENTENZA DEL CAS DI LOSANNA

 
Ma il fatto ancor più clamoroso è che, scorrendo le pagine, il nome di almeno uno degli illustri protagonisti di questa disgustosa vicenda emerge: è quello dell’Accusatore. Colui che (si legge) aveva ricevuto, nel giro di poche settimane, la proposta di ‘aggiustare’ due sue partite – perdendo il primo set, vincendo secondo e terzo – in cambio di 30.000 dollari. Cerchiamo di vederci chiaro.
 
Questo David Savic, dopo la condanna in primo grado, sostenne che l’Accusatore fosse «un amico di vecchia data, un compagno dai tempi dei tornei juniores». Quindi, all’incirca, un suo pari età. L’Accusatore, si legge in sentenza, si era incontrato «per l’ultima volta di persona a Belgrado nel (censura), e nell’occasione i due si erano scambiati i numeri di telefono mobile».
Poi, si legge ancora, l’Accusatore era stato contattato per telefono da Savic durante il torneo di Pechino del 2010. L’Accusatore è in camera di albergo, è sera tardi quando riceve due chiamate dal numero +381 638 493 231. È il cellulare di David Savic. Non risponde. Dopodiché gli squilla il telefono in camera: la voce si qualifica come David Savic e lui lo riconosce. Scambiano qualche parola, dopodiché decidono di mettere giù e di continuare a dialogare su Skype. Lì Savic piazza la proposta indecente: se perdi apposta il primo set del tuo match di primo turno di domani, il tuo avversario – che è già d’accordo - ti farà vincere al terzo. Tu passi il turno e incassi 30.000 dollari extra per il favore che ci fai.
L’Accusatore non solo rifiuta, ma fila a raccontare tutto quanto a Jeff Rees, direttore della TIU (Tennis Integrity Unit): in un’intervista (registrata non si sa quando, con Rees e l’agente Nigel Willerton a fargli domande) mostra le chiamate senza risposta sul cellulare, i suoi contatti su Skype e racconta quanto gli è successo.
 
Passano due settimane. L’Accusatore gioca un altro torneo. La censura del TAS toglie i riferimenti ma dimentica di cancellare la frase «(Censura) phoned Rees immediately, and since they were both staying at the same hotel in Moscow…». Quindi l’Accusatore è un giocatore che nel 2010 aveva giocato sia il torneo ATP 500 di Pechino sia l’ATP 250 di Mosca. Possiamo iniziare a incrociare i dati e restringere il campo. Quali erano i giocatori presenti in entrambi i tornei?
 
Baghdatis
Davydenko
Dolgopolov
Golubev
Istomin
Marchenko
Mathieu
Tipsarevic
 
Andiamo avanti. Cosa succede a Mosca? L’Accusatore riceve un SMS sul suo telefono mobile, sempre dall’utenza di David Savic. Questo il testo, in inglese: «Ho da farti la stessa domanda di due settimane fa: hai cambiato idea? David». L’Accusatore torna da Rees, che casualmente alloggia nello stesso albergo. Costui gli consiglia di rispondere con un laconico «No». Fine dei contatti.
 
Chi può mai essere, l’Accusatore? Sappiamo che è uno degli otto giocatori presenti in entrambi i tornei. Sappiamo che non può essere né troppo più vecchio né troppo più giovane di Savic, avendo frequentato gli stessi tornei giovanili. Sappiamo che i due (così testimonia l’Accusatore) hanno sempre conversato in inglese, quindi è più che probabile che non si tratti, per esempio, del compatriota Tipsarevic (giocatore che a Pechino perse al primo turno contro Fish in due set mentre al primo turno di Mosca fu battuto in tre set, dopo aver perso il primo, da Zeballos). Ma sappiamo un’altra cosa, sfuggita alla censura TAS: che i due si erano parlati per l’ultima volta in occasione del loro incontro a Belgrado, «18 mesi prima della telefonata di Pechino». L’affermazione (paragrafo 4.9 della sentenza) fa parte della difesa di Savic, che ha provato a insistere sul tempo trascorso tra le due conversazioni per negare che l’Accusatore potesse aver riconosciuto dalla voce un conoscente che non sentiva da un anno e mezzo. Ebbene: cosa c’era a Belgrado, 18 mesi prima del torneo di Pechino? Un torneo ATP 250. E quali giocatori erano iscritti a Belgrado 2009, a Pechino 2010 e Mosca 2010?
La lista dimagrisce, restano due nomi: Janko Tipsarevic e Marcos Baghdatis
. Se si trattasse del primo, dovremmo presumere che Savic e Tipsarevic si siano parlati in inglese (!), che Savic abbia chiesto a Tipsarevic di perdere il primo set a Pechino contro Fish per vincere al terzo (con lo statunitense parte della tresca), poi di vincere un altro match perdendo il primo set a Mosca (non sappiamo di quale turno ma è evidente si tratti del primo, avendo avendo Tipsarevic perso subito contro l’argentino Horacio Zeballos.
 
Proviamo con Baghdatis. L’ex finalista dell’Australian Open ha la stessa età di Savic, classe 1985. Si incontrano a Belgrado nel 2009: Savic sta giocando le qualificazioni lì, guarda caso. Si scambiano i numeri di telefono. Poi si perdono di vista, com’è ovvio: i due non frequentano quasi mai gli stessi tornei e vivono in Paesi diversi. Savic lo chiama dopo 18 mesi, i due conversano in inglese. Baghdatis deve giocare il suo match di primo turno, gli tocca Alex Dolgopolov. Rifiuta la proposta di corruzione, il giorno dopo gioca e perde. Due settimane più avanti, Baghdatis ha un bye al primo turno di Mosca. E chi deve incontrare, al secondo turno? Guarda un po’: Alex Dolgopolov. Il pomeriggio riceve un messaggio da Savic, che gli chiede se per caso abbia «cambiato idea». Baghdatis risponde di no. Gioca e vince il match, 62 76(7).
Così fila tutto. Anche con una verifica empirica: il nome di Baghdatis combacia perfettamente, nella sua lunghezza, con le censure del cognome dell’Accusatore nel documento del TAS. Non si può dire lo stesso di Tipsarevic: nome troppo lungo.
 
Tutte le altre verifiche possibili portano comunque a Baghdatis. Un match truccato, del resto, è interessante se si altera la quota in modo tale da generare un guadagno. Negli altri primi turni di Pechino dei giocatori presenti anche a Mosca, anche a voler dimenticare tutte le altre prove, basta esaminare avversari e punteggi per evincere che è altamente improbabile, anzi, impossibile che ciò possa essere avvenuto. Peraltro con un agente corruttore, Savic, che avrebbe dovuto proporre un’altra ‘torta’ a Mosca, allo stesso giocatore ma contro un avversario che non c’entrava nulla, né come ranking né come quota, con quello di Pechino. Il ragionamento ha dunque senso se l’Accusatore è Marcos Baghdatis e i suoi match sono i due giocati a breve distanza, a Pechino e a Mosca, contro Dolgopolov. Che poi Dolgopolov fosse d’accordo, è tutto da dimostrare. Resta quella frase di Savic via Skype (riferita dall’Accusatore) con la quale sosteneva che l’avversario dell’Accusatore era già d’accordo nella combine: ma era vero? In realtà, non essendo state presentate registrazioni, non è verificabile nemmeno che tale frase sia mai stata pronunciata. Quindi per adesso si conosce l’identità dell’agente corruttore e dell’Accusatore. Per quanto riguarda l’avversario dell’Accusatore, vi sono ragionevoli sospetti sull’identità ma nessuna prova che fosse realmente d’accordo nella combine e nemmeno che abbia mai parlato della faccenda con Savic. Anche perché, se esistessero tali prove, sarebbe già stato formalmente inquisito. Invece, a distanza di due anni, non è accaduto. Il che vuol dire che l’identità del giocatore coinvolto nella combine non è chiara al 100% o che, in ogni caso, non vi sono prove, oltre ogni ragionevole dubbio, che fosse d’accordo per tale combine.
 
La sentenza racconta il resto di questa storia, letteralmente disgustosa. Savic viene ‘pinzato’ dagli inquirenti della TIU via mail nel dicembre 2010. Gli chiedono di fornire alcuni dettagli per una loro indagine nei suoi confronti. Savic conferma (a proposito: complimenti per la furbizia, è come aver usato la pistola d’ordinanza per uccidere l’amante della moglie) di essere il titolare dell’abbonamento alla scheda mobile +381 638 493 231. Quando capisce di essere nei guai, Savic nega tutto. Mostra il dettaglio del suo traffico telefonico, nel quale non c’è traccia di sue chiamate all’Accusatore. Ma non ci potrebbero essere, ribattono i tecnici della TIU, perché le due telefonate non avevano ricevuto risposta. Invece c’è la documentazione di un SMS in uscita (con destinatario irrintracciabile, perché Savic non ha chiesto al suo gestore telefonico l’identità del destinatario, circostanza fortemente sospetta perché avrebbe potuto scagionarlo) mandato alle 14:22:51 di quello stesso giorno in cui l’Accusatore ricevette il messaggio «Ho da farti la stessa domanda di due settimane fa: hai cambiato idea? David». L’Accusatore ha conservato il messaggio e viene presentato in aula: manco a dirlo, risulta mandato dall’utenza +381 638 493 231 e ricevuto sul suo telefono alle ore 14, 22 minuti e 51 secondi.
 
David Savic viene interrogato ufficialmente per la prima volta il 15 febbraio 2011. Dice di non saperne nulla, eppure non riesce a spiegare come mai quel messaggio sia partito dal suo telefono, né per quale motivo l’Accusatore lo abbia riconosciuto dalla voce nella telefonata in albergo, né per quale ragione sull’account di Skype dell’Accusatore ci siano i suoi contatti con la traccia di conversazioni proprio in quella data. La difesa, in sede di appello a Losanna, proverà a opporre che non esiste la prova provata del contatto tra i due, che le utenze Skype possono essere contraffatte. Quello che non si riuscirà a spiegare è come mai l’Accusatore abbia mostrato due chiamate senza risposta dal cellulare di Savic di quella sera, più una chiamata (non verificabile) ricevuta sul telefono fisso dell’albergo, più le conversazioni con un contatto registrato come Savic, più il messaggio SMS ricevuto a Mosca sempre dal telefono di Savic. L’unica spiegazione potrebbe essere un mostruoso (e abilissimo) complotto dell’Accusatore ai danni di Savic, che però il serbo non ha saputo motivare. La TIU, durante le indagini, aveva chiesto a Savic il permesso per approfondire i dettagli del suo account su Skype: l’accusato non aveva risposto.
Il 30 settembre 2011 arriva la sentenza di primo grado: Savic è radiato dal tennis. Un mese dopo inizia la procedura di appello al TAS.
 
Il 29 marzo 2012 l’Accusatore e Savic vengono messi a confronto: l’imputato in aula a Losanna, l’Accusatore in videoconferenza perché impossibilitato al viaggio in Svizzera. Si mette male, per il serbo, ormai certo della condanna: sicché nelle deduzioni difensive, pur continuando a negare gli addebiti, prova ad aggrapparsi a tutto ciò che gli avvocati riescono a trovare per alleggerire la sentenza. Chiede, per esempio, che venga applicato un criterio più severo rispetto alla mera preponderanza della prova, perché in ballo c’è la sua carriera e non una sospensione lieve. Insomma, vorrebbe essere condannato al di là di ogni ragionevole dubbio. Ricorda alla corte di aver ricavato in tutta la vita meno dei 100.000 dollari di multa, di essere incensurato e di non saper fare altri mestieri se non quello di tennista.
È che proprio non c’è, il ragionevole dubbio. Il 5 settembre 2012 il TAS chiude la carriera di David Savic con la conferma della radiazione, lo accontenta abolendo la multa da 100.000 dollari ma lo condanna al pagamento di qualche migliaio di dollari per le spese di causa.
 
In primo grado gli inquirenti avevano ascoltato (audizione avvenuta durante il torneo di Miami 2011, regolarmente iscritti in tabellone sia Bahgdatis sia Dolgopolov sia Tipsarevic) due giocatori in relazione alla denuncia dell’Accusatore. In sentenza si legge che «entrambi hanno negato di essere a conoscenza di alcuno dei fatti denunciati dall’Accusatore». La citazione di Tipsarevic non è casuale: del resto fu lui stesso a dichiarare di aver ricevuto una lettera dalla TIU in relazione al match di Mosca contro Zeballos, di aver fornito i dettagli richiesti (conti correnti, traffico telefonico) e tutto era finito lì. Possibile che uno dei due sia stato lui. Ma l’altro? Beh, qui la risposta vien da sé: tutto indica che si trattasse di Alex Dolgopolov, che è stato uno dei destinatari delle lettere spedite dalla TIU, come lui stesso ha ammesso nel corso dell’Australian Open del 2011. E che è stato per due volte l’avversario di Baghdatis.
 
Non è plausibile che Savic facesse tutto da sé. Se faceva parte di un’organizzazione tecnicamente criminale, potrebbe aver detto qualcosa. O forse no, e in cambio del suo silenzio è stato sì radiato ma anche ricompensato. Ma queste sono solo speculazioni. Certo è che un giocatore, in cambio di una utile confessione, aveva ottenuto uno sconto di pena: è Wayne Odesnik, che per aver offerto la sua collaborazione (non si sa se a favore della lotta al doping o alle scommesse illegali) è tornato in attività con la pena dimezzata.
Per condannare servono delle prove e, per ora, la TIU ne ha raccolte a sufficienza per chiudere fuori dal recinto del tennis un giocatore di seconda fascia (e sommamente sprovveduto) come David Savic. Ma ora è piuttosto semplice dedurre chi è il top player che lo ha accusato (e la TIU chiaramente ne conosce l’identità), così come l’avversario che ha incontrato per due volte nei tornei incriminati di Pechino e Mosca. Sono passati due anni dai fatti: speriamo, per il bene del tennis, che non finisca così, col capro espiatorio sacrificato e nessun altro colpevole.

La primogenitura di questa inchiesta è del blogger irlandese Stephen Kelly, il quale ha pubblicato sul suo sito alcune considerazioni dopo la lettura del sentenza del CAS. Kelly si è accorto delle maldestre censure nella sentenza. Federico Ferrero ha poi sviluppato autonomamente la sua inchiesta, giungendo alle conclusioni che avete appena letto.

 
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