Per raccontare questa finale si può e si deve cominciare dalle parole del vincitore. Posato l'ingombrante trofeo a terra, Alexander Zverev diverte il chiassoso pubblico di Washington DC, dilettandosi in uno spassoso quanto interminabile monologo, assai distante dal protocollo a cui siamo noiosamente abituati. Alexander non si fa mancare nulla: dopo aver ricordato ed elogiato, con spontanea e sincera simpatia, l'unica direttrice donna di un torneo ATP (peraltro omaggiata di un abbraccio), eccolo perdersi in parole d'affetto per chiunque. Juan Carlos Ferrero (al suo primo torneo da allenatore), il team, la mamma, anche il buffissimo cane, felice e scodinzolante in tribuna tra le sue braccia. E buon ultimo il padre, visibilmente toccato dalle parole di gratitudine del figlio. La partita? Davvero poco da raccontare. Un doppio 6-4 inflitto a Kevin Anderson, in nemmeno un'ora e dieci minuti di gioco, nei quali Alexander non ha concesso praticamente nulla. Poco o nulla è servito il servizio del sudafricano, decisamente la sua arma migliore. Tornato in finale dopo due anni, dopo mesi trascorsi tra acciacchi e infortuni, Kevin ha patito sin dai primissimi scambi il piglio sfacciato e impassibile dell'avversario. Per intenderci, Zverev è sceso in campo come un Fab Four in un primo turno qualunque di un Grande Slam. Due palle break salvate nel primo game, sotto 0-40 nel terzo, Anderson è costretto a cedere subito il servizio, trafitto sulla terza occasione, da uno splendido rovescio di Sasha.