A casa di Renzo Olivo, sullo scaffale in cui è adagiata la TV, c'è una riproduzione della Coppa Davis. È il ricordo che viene lasciato a tutti i componenti della squadra vincitrice, anche se hanno giocato in turni precedenti alla finale. Nel 2016, il concittadino di Lionel Messi fu convocato nel primo turno che l'Argentina vinse in Polonia, peraltro su un campo poi risultato non regolamentare. Giocò e perse due partite: il doppio e un singolare a risultato acquisito. Tanto è bastato per garantirgli il diritto a ricevere una copia del trofeo. La mostra con orgoglio, è oggetto di curiosità per tutti quelli che lo vanno a trovare. Ed è anche il ricordo tangibile di una stagione, il 2016, in cui ha espresso il suo miglior tennis ed è entrato per la prima volta tra i top-100 ATP. Classe 1992, come il “Peque” Diego Schwartzman, sul piano puramente tennistico ha più talento di lui. Sin da piccolo, il suo tennis ricordava – alla lontana – quello inimitabile di David Nalbandian. Non è caso, il suo idolo. Raramente Olivo è arrivato al palcoscenico mainstream, anche se ha trovato il palcoscenico ideale per mostrarsi al mondo. Roland Garros 2017, Campo Philippe Chatrier: batté Jo Wilfried Tsonga in quello che resta il punto più alto della sua carriera.
Oggi sta vivendo il peggiore.
Senza particolari infortuni, ma solo un impressionante calo di rendimento, ha perso 370 posizioni e ha chiuso il 2018 al numero 511 ATP, classifica insufficiente anche soltanto per giocare i Challenger. Classifica che non aveva da sette anni, frutto di un'impressionante serie di eliminazioni al primo turno: per sedici volte si è presentato a un torneo e non ha vinto neanche una partita, almeno in singolare. “Entrare tra i top-100 fu uno sforzo enorme – racconta Olivo – perché venivo da qualche anno senza compiere il salto di qualità, ma poi finalmente ce l'ho fatta. Era un periodo in cui servivano 700 punti ATP per riuscirci, mentre in altre epoche ne bastavano 500”.